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giovedì 15 luglio 2010

Campo Hobbit III. ...e credemmo di cambiare il mondo








miro renzaglia

Era il 15 ed il 20 luglio di 30 anni fa (1980) ,  in una località semi-sperduta in provincia dell’Aquila, chiamata Castel Camponeschi, un paesino rimesso in piedi, negli angoli  e negli spazi vivibili,  ed allestito da un pugno di giovani militanti volontari ,  scesi da Roma e da altre parti d’Italia con Umberto Croppi in testa, traino e motore organizzativo alla direzione dell’evento (1).  Sembrava impossibile riuscire,  eppure si riuscì  nell’ impresa,  e l’ evento che rimase nel mito e nell’immaginario  di un certo ambiente militante,  e  concesse per almeno un altro decennio,  e forse qualche cosina in più, l’illusione di un modello, di un'idea, di un fatto che potesse cambiare il mondo circostante,  senza tuttavia mutare di una virgola noi stessi.  Creatività assoluta e radicalità intransigente, uniti nella lotta.

Alcune immagini rimangono nitide,  come foto o video di un surrealismo autentico e cristallino,  galleggiano nel mio giovanile militante ricordo,  e si alternano come in un filmato datato,   ma tutt’ora gradevole e stimolante.

L’immagine di avvio  è su una  roulotte, un vecchio rottame modello dopoguerra,  capottata senza onore,  sull’unica stradina di ingresso al Campo , proprietà  di un noto personaggio napoletano detto "Gigino" per gli amici , poi riconvertito negli anni successivi  all’islam con altri della banda napoletana, dopo la lettura illuminante,  forse presa troppo sul serio, del testo pubblicato dalla Lede (Libreria Ed. Europa) sull’Ayatollah Khomeini. L’ incidente della roulotte bloccò solo per alcune ore l’ingresso a Campo Hobbit III,   tra risate argute  a crepapelle ,  sfottò  e tremende punture di insetti,  decisamente anti-fascisti.  Comunque l’esordio fu simpatico,  e commentammo tra ironia e sottile beffa,   che se non ci pensano "gli altri" a bloccarci,  riusciamo in qualche modo sempre a bloccarci da soli.

Arrivato a piantare le tende, in una delle tante terrazze sottostanti il cucuzzolo del paese,   intravidi da subito tra i grappoli di tende assiepati,  quelle colorite dei miliziani di Nicola Cospito e di E. Tiano, con le loro bandiere crociate e i gagliardetti teutonici  e pronti a distribuire  la mitica rivista "Militia", organo impegnato nel contrastare l’egemomia  predominante nel campo,  delle  emergenti formazioni neo-destre capitanate da Marco Tarchi, già in vena di distanziarsi dall’ ultra-evolismo incapacitante e da un neofascismo piuttosto datato.

A poca distanza da me,  la tenda dell’amico e fratello, Alvise Zucconi,  intento a fraternizzare allegramente con una ragazza di Udine. Lei  svastica al collo e coscia molto forte,  scelta degna di Alvise.  Da allora Alvise,  prova a suonare la chitarra e cantare,  ma senza molto successo.  Anche io da quei giorni invece ho scelto la musica,  come strumento politico e militante di comunicazione,  anche se il mio esordio musicale è databile a Cam-po’, in una iniziativa per i sopravvissuti al naufragio,  in provincia di Mantova,  nel luglio del 1982.

Nel caldo torrido estivo si dette da subito inizio alla danza dei dibattiti e alle commissioni interne, con la presenza  di decine di piccole case editrici presenti,  riviste e giornali,  le prime librerie di area,  grafica e fumetti, senza alcuna guerra intestina tra le varie "anime" , nessuna polemica ancora innescata dalla nostra interna secolarizzazione. Nella FEA ( la Federazioni Emittenti Alternative)  si consumò da subito l’idea di un ponte radio centralizzato tra le venti e più radio private, che avrebbe consentito la creazione del primo Network radiofonico alternativo nazionale,  qualche anno prima della nascita di  "Radio Radicale".  Il partito doveva sganciare appena una ventina di milioni.  Progetto mai decollato.  Avremmo capito da lì a poco il perché.

Così come affondò miseramente  il movimento del GRE (Gruppi di Ricerca Ecologica) del rautiano Alessandro Di Pietro, oggi stimato animatore e protagonista di arte culinaria alla Rai.  I fondi dati dal ministero dell’ambiente nei vari anni,  non si sa bene come vennero utilizzati.

Ancora risale l’immagine di un dibattito infuocato,  sul tema delle identità etniche e territoriali,  e la risposta secca data dai sostenitori dell’irredentismo tricolore tra cui Nereo Zeper Tulio  Zolia,  che insorsero a difesa della Italianità di Trieste e delle terre dalmate.  Stato Nazionale, Comunità di Destino,  Piccole Patrie?  Quale il modello di riferimento?  Sarà un tema in auge nell’ambiente per circa trenta anni,  che ancora oggi spacca trasversalmente, nonostante la mutazione geopolitica "interna ed esterna" alla Nazione.  E la Lega ancora non era neanche stata pensata. Ma di radicamento territoriale, di etno-nazionalismo,  di tendenze e destini  geopolitici già se ne parlava ampiamente.

E la miracolosa tensione creativa salì di colpo,   quando si accennò ai modelli  culturali complessivi di riferimento, alle categorie del politico, al pantheon,  alle idee guida,  insomma  a ciò che doveva essere discusso ed escogitato per anticipare e gestire i tempi della crisi  e non subirli.  E qui ognuno divenne come l’allenatore della nazionale di calcio,  ognuno disegnò la formazione vincente , la verità assolut :  neo-destri contro  vetero-destri ,  destro-radicali contro radical-destri,  esoterici contro ultra-nominalisti nicciani, socializzatori, filo- ultrasinistri, neo-fasci vari ed eventuali  ecc. ecc.  Insomma una vera fiera, il nostro migliore ecumene in seduta conciliare plenaria, ancora  vivi e vegeti,  e soprattutto in grado ancora di dire qualcosa (parafrasando Nanni Moretti)  "di destra e anche di sinistra".

Trent’anni dopo sarebbe rimasto pochino di tutto quell’accesso dibattito,  e  grazie all’acritica all’abiura di Fiuggi prima,  ed al Cavaliere del Nulla P2 poi  (detto anche papi), sarebbero  arrivati per (quasi) tutti, posti di lavoro, assessorati, ministeri, fondi, seggioline varie, qua e là.  Altro che categorie del politico e/o gramscismo di destra.  Il Fare Futuro sarebbe stato una vera vertigine, ed alla militanza,  parafrasando "Caffeina" dell’amico Filippo Rossi, si sarebbero tutti riconvertiti alla "misticanza".

Rimane però ancor più mitico il dibattito sulla musica, condotto  all’ottimo Federico Zamboni,  (alias Claudio Fossati, da sempre il maggior critico musicale dell’Area),  ed il  suo sano tentativo  di far riflettere i barbari interni,  che oltre la musica alternativa ed  gli inni e le marcette (che tuttavia filogicamente parlando sono sempre utili da ascoltare), esisteva magari "dell’altro" a cui bisognava attingere per farsi contaminare,  per crescere, per capire.  La scelta serale di far suonare un gruppo di musica Rock "allogeno", con canzoni non "d’ambiente" ma mutuate dalla sovversiva sinistra , scatenarono le ire funeste degli integralisti d’ambiente, con discussioni piuttosto animate.  Da quel gruppo "allogeno e contaminante"  sarebbe guarda guarda rinata a breve  la nuova Compagnia dell’Anello,  ed anche un laboratorio trasversale chiamato  "Alchemia Celta",  dove  un giovanissimo Mario Bortoluzzi fraternizzò  con la  Sua prossima e futura  moglie Marinella . Sono entrambi ancora in pista,  e quella contaminazione ci ha permesso di crescere,  ed a me personalmente,  l’dea per la creazione dei due laboratori musicali Terre di Mezzo e Contea. Così come determinanti per la nostra vison creativa,  sono state le esperienze di Poesia , Teatro e Letteratura  militante del Vertex , animate dall’ottimo Sandro Giovannini.

Nelle sere,  che si sono alternate,  con intensità e senso comunitario crescente,  risaltano ancora nitide le note e le magiche atmosfere elaborate da Renato Colella,  con i suoi testi di Altaforte e Waffen,  condite da immagini a sfondo evocativo, da cui io ho tratto per anni,  il modo di organizzare i recital a tema.  Un cantautore giovanissimo di Reggio Emilia Luca Barbieri,  ci raccontò in un brano come a Santiago del Cile e sotto Pinochet,  si viveva piuttosto male,  come in tutti gli stati di polizia , d’altra parte.

La sera del penultimo giorno fu però magica, perché nel momento massimo e  topico di quel famoso e sfigatissimo  inno  che "il domani appartiene a noi" (perché non è vero, non è stato mai vero,  tanto quanto il Got Mit Uns),  centinaia di bandiere rosse con cerchio bianco e celtiche nere,  coprirono la piana notturna  del concerto, bandiere rimaste nascoste  per ben quattro giorni,  per evitare scontri,  e non fomentare polemiche e discussioni con i soliti dirigenti rompicoglioni, tutti sotto continuo  schiaffo della dittatura interna  almirantiana.

Durante il concerto di Jack Marchal e del suo gruppo di Rock identitario  (in cui fu presentato il famoso 33 giri,  "Science e Violence")  avvenne forse uno dei migliori episodi naif della quattro giorni:  l ’arrivo inaspettato  dei ragazzi del Fuan di Roma (2)  con in testa un giovanissimo  Massimo Morsello in veste di portavoce ufficiale,  per leggere un  comunicato perdutamente delirante ma certamente più vero e degno delle mozioni congressuali del MSI,  uscito fresco fresco  dal G9 di Rebibbia,  braccio carcerario che cominciava in quei mesi  ad essere già abbastanza affollato:   comunicato firmato da Peppe Dimitri,  Dario Pedretti,   e dal prossimo collaborare/infame/delatore Sergio Calore (per me,  da allora non è  cambiato nulla,  in termini di infamia e delazione).

Il diversivo fu divertente per un verso,  ed irriverente dall’altro,  verso la nomenclatura del Campo,  e puntava nel contenuto  a indicare una certa organicità,  sui vari livelli di interazione che si agitavano tra i militanti,   tra cultura metapolitica, movimentismo rivoluzionario e semplici regole di strada, variabili,  che a mio modesto avviso,  convivevano egregiamente,  nonostante "il vento… ed il tempo"  (3).  Comunque  la forzatura militare dei ragazzi del Fuan,  con Massimo Morsello,   come attore alla lettura del testo,  fu mitica . Riecheggia ancora nelle mie orecchie la frase coatta e minacciosa lanciata da qualcuno del gruppo a Teodoro Bontempo e Giampiero Rubei (che era tra gli organizzatori del Campo e sarebbe stato negli anni successivi un manager indiscusso dei Festival Jazz su Roma):  «A Giampie’,  o ce fate legge sto comunicato,  o se menamo!!!! » Hi Hi Hi . Grandioso!!!  E  molti di noi , giovani ed alle prime armi nel fare danni ,  erano già pronti ad ingaggiare il confronto fisico con il servizio d’ordine,  per dare il giusto spazio alla richiesta di quei camerati giunti da Roma.  Era comunque Festa anche questa!!!  Anche queste cose per anni,  sono state la Festa,  prima che la noia devastante e la pace terrificante ci annichilisse.

Ma il naif non finì qui : ricordo le botte clamorose , della domenica 20 mattina  con le decine di camerati caciaroni di Napoli, armati di tamburi e tamorre,   che buttarono tutti giu’ dalle brande alle prime luci dell’alba, indistintamente ,  ma finirono malamente tra le tende "dei romani" giunti  la sera prima, soprattutto "i monteverdini",   molto stanchi e poco propensi  al cazzeggio mattutino,  ma sempre ben predisposti antropologicamente,  almeno ad una  rissa al giorno;  ed era solo l’alba… Qualche pugno qualche naso rotto,  ma poi chiarimenti e tutto a posto.   In fin dei conti era andata anche troppo bene nei cinque giorni, in termini di esigenze muscolari.

Così, dalla lente di in gradimento di quel piccolo-grande evento uscirono, infine,  gli articoli benevoli  del "Manifesto" e dell’ "Europeo",  che rimasero totemici,  perché forse descrissero in poche  parole/righe, quello che noi non eravamo  in grado di comunicare direttamente al mondo esterno, e non solo per colpa nostra si intende (... ma anche per colpa del mondo di allora):    sulla mutazione genetica della razza fascista,   policentrica e creativa, trasgressiva, rivoluzionaria, anti-capitalista e ben centrata nell’individuare il topic della propria visione del mondo, proprio nell’elemento comunitario-neopagano, anelante al recupero del sacro,  cioè la base fondante di quell’esperienza intessuta e costruita sull’immaginario tolkeniano proprio con i Campi Hobbit.

Da lì a qualche giorno la bomba di Bologna («…il botto alla stazione che cancella tutto quanto»),   Cossiga e le facili piste imbeccate dai servizi,  le faide fuori e dentro il partito.  Il rientro del solito Rauti-voltagabbana alla direzione nazionale del MSI,  la calunniosa posizione del settimanale "Linea" (4)  e l’infame campagna sulla pena di morte lanciata da Almirante,  con centinaia di detenuti politici ed esuli  fuoriusciti, dopo le retate del 28 agosto e del 23 settembre 1980.  In meno di due mesi,   è stato disarticolato tutto ciò che c’ era alla destra del MSI , peggio dell’Argentina di Videlacon i peronisti  e del Cile di Pinochet.   Ma i contraccolpi si fecero sentire pesantemente anche dentro il partito, mettendo sotto accusa proprio gli organizzatori e gli animatori del Campo Hobbit III,  come fautori  e promotori indiretti dell’eresia e della sovversione interna all’apparato del partito;   in particolare fu organizzata meticolosamente la cacciata di M. Tarchi,  perché scomodo personaggio,  e promotore di un pensiero "non-riconvertibile" ed omogeneizzabile alla destra obbediente e rimessa da cortile.

A distanza di 30 anni, cosi’ , non solo,  non siamo riusciti a cambiare il mondo , ma il mondo  stesso, peggiorato da allora di molto e alla grande,  ha finito per cambiare “ tutti “ o quasi , rendendo cosi’ impossibile la Rivoluzione.  Effetto del tempo o della cattiva lettura di Tolkien,  fagocitata forse da quella  di Karl Popper sulla società "open" e dinamiche che "fanno futuro". Comunque,  Gandalf , non so se da qualche parte  sia ancora vivo,  ma di certo non abita più da queste parti. Qui da noi Sauron e Saruman hanno vinto alla grande.

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(1)   L’esperienza dei Campi Hobbit era stata iniziata , qualche anno prima,  nel 1977 a Montesarchio in provincia di Benevento,  da uno dei migliori quadri politici delle formazioni rautiane,  G. Simeone, che trovò nell’immaginario tolkeniano , la chiave di rilettura e di raccordo per evolvere l’ambiente giovanile neo-fascista verso "l’altrove identitario". Tutta la storia dei Campi Hobbit è raccontata e commentata minuziosamente,  nell’ultimo testo elaborato da M. Tarchi, La rivoluzione impossibile, ed. Vallecchi.

(2)   Non è esatto come viene raccontato nel testo La rivoluzione impossibile che i 30 elementi arrivati da Roma,  con lo scopo di leggere pubblicamente il comunicato, fossero militanti di Terza Posizione.  Al contrario, erano tutti militanti del Fuan di Via Siena, spalleggiatori dei Nar, alcuni dei quali ancora quadri politici interni al MSI. Già da allora,  come sappiamo tra Fuan-Nar e Terza Posizione non correva buon sangue

(3)   A mio avviso, per una lettura critica corretta,  e non di parte,  di cio’ che avvenne tra il 1976 ed il 1983  nel nostro ambiente, va riconosciuto che le tre fasi  (metapolitica, movimentista e deriva armata)  avevano la medesima e direi salutare matrice di rottura  culturale ed accelerazione esistenziale rispetto al neofascismo di servizio, fasi  differenti sicuramente,  per metodi ed obiettivi. Andrea Colombo nel suo Storia Nera,  dice di gran lunga la verità,  quando racconta che i figli della mutazione antropologica neo-fascista, iniziata  nel 1976 , hanno avuto la stessa esigenza e la stessa precisa intuizione . Essere   «a destra , ma contro la destra».

(4)   “ Non sono tutti camerati “ : esordi’ cosi’ il quindicinale “Linea" diretto da Pino Rauti, per compiacere la linea forcaiola di Almirante , e sostenne tra le righe che proprio gli ambienti contigui ai Nar e Terza Posizione fossero gli autori della strage. A distanza di trenta anni, la falsa verità giudiziaria,  alimentata da calunnie processuali e magistrature compiacenti,  ritengono ancora Mambro , Fioravanti e Ciavardini gli autori materiali , ma la verità storica come sanno tutti molto bene,  è un ‘altra ,  e  soprattutto di un ‘ altro livello.

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