Vogliamo giustizia!

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Giustizia per i morti di Bologna

Ultimissime del giorno da ADNKRONOS

mercoledì 30 giugno 2010

Pisanu: ''Mafia non rinuncia a politica. Dopo le stragi si temette colpo di Stato''

Pisanu: ''Mafia non rinuncia a politica. Dopo le stragi si temette colpo di Stato'' - Adnkronos Politica

Paul McCartney - show ad Hyde Park - Hard Rock Calling -

Tappa del tour mondiale Up and Coming di Paul McCartney con un concerto ad Hyde Park a chiusura dell'Hard Rock Calling festival. Quarantamila persone hanno applaudito il 68enne ex Beatle che si esibiva in un repertorio senza eguali, a meta' tra la sua epopea con i Beatles e la sua carriera solista, anch'essa ricca di successi.

martedì 29 giugno 2010

Gli Usa vorrebbero l'interruttore per spegnere Internet

Zeus News - Gli Usa vorrebbero l'interruttore per spegnere Internet

Addio Pietro



''Pietro Taricone a CasaPound era arrivato qualche mese fa, con l'umiltà e l'entusiasmo di chi è privo di sovrastrutture. Da entusiasta quale era ci ha aiutato a mettere su 'Istinto rapace', il gruppo di paracadutismo sportivo della nostra associazione, senza chiedere nulla, giusto per la voglia di far conoscere a tutti un'esperienza che gli aveva cambiato la vita, quel gusto di 'saltare' del quale non si stancava mai di parlare. Pietro si sentiva fortunato, e quella fortuna voleva condividerla''. Lo afferma Gianluca Iannone, presidente di CasaPound Italia."C'è piaciuto nostro malgrado Pietro Taricone, e ci è piaciuto anche per questo – aggiunge Iannone - Avrebbe dovuto essere tutto quello che non ci rappresenta e invece era esattamente quello che tutti noi siamo, e lottiamo ogni giorno per essere. Coraggio, umiltà, altruismo, simpatia. Erano queste le doti che ci piacevano di lui. E che ci piacevano ancora di più perché non era in lui che avremmo pensato di trovarle. Pietro Taricone se n'è andato oggi, non prima di averci dimostrato che i luoghi comuni non esistono e che la volontà riscatta qualunque destino. Ciao, Pietro. Ci manchi già''.


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lunedì 28 giugno 2010

Quando il pianeta sarà in vendita


Quando il pianeta sarà in vendita
Post n°27 pubblicato il 27 Giugno 2010 da associazione.ignis


La notizia che la Grecia ha messo in vendita le sue isole più belle per poter pagare i suoi debiti insieme alla notizia che il primo nella lista d'attesa per l'acquisto è un certo Abramovic o giù di lì seguito dai nomi dei nuovi ricchi che sommettono in borsa sulla disgrazia degli altri, in un primo tempo mi ha indignato ma subito dopo mi ha fatto riflettere.
Ricordo che quando un paese emergente come il Brasile affondava nei debiti e nell'inflazione a due cifre, si era diffusa la voce che qualcuno dei creditori meditava di impossessarsi (leggi sequestro) della foresta amazzonica per riscattare i propri crediti.
Ciò che allora sembrava una bufala ed un'enormità oggi, con riferimento alla Grecia, nazione del cosiddetto primo mondo e che ha dato la filosofia al mondo occidentale, sembra più verosimile, ma la sostanza non cambia: da una parte popoli e nazioni enormemente indebitati e dall'altra parte banche, finanziarie e agenzie dai nomi più strani tutti rigorosamente anglo-americani che vantano crediti.
Senza essere andati alla Bocconi per studiare economia, ma con una semplice licenza elementare dove si insegnano le quattro operazioni, non è difficile capire che se c'è un tizio che vanta un credito da una parte ci sarà anche un tizio che deve pagare un debito dall'altra parte. Se questo tizio che deve pagare il debito i soldi non li ha, l'altro che vanta il credito gli pignora la casa. Ripeto, mi limito a un ragionamento molto semplice, senza indagare sui motivi veri che hanno portato una parte ad indebitarsi a favore dell'altra.
Se ad indebitarsi però è un governo che sa in partenza di non poter pagare quei debiti, le considerazioni da fare non sono più di carattere economico, ma politico, specialmente quando si scopre che l'indebitamento degli stati mette in pericolo la sicurezza e la sovranità del popolo, e quando si scopre che lo stato si indebita con denaro che non è suo e di cui non ha nemmeno il controllo dell'emissione. Qui siamo già fuori dalle leggi dell'economia ma nel codice penale.
Inoltre: un'isola greca o la foresta amazzonica, o il Colosseo non sono beni governativi, ma beni della nazione e del popolo che nasce e che muore su quel territorio nazionale.
Continuando nella mia lenta e maccheronica riflessione mi son detto: se è così, se cioè la calamità di vedersi privare del proprio patrimonio ieri sfiorava il Brasile e oggi tocca la Grecia, vuol dire che qualunque nazione della terra deve sentirsi in pericolo, deve sentirsi minacciata da un battaglione di usurai senza fissa dimora , che senza rispetto alcuno per la vita delle persone come i predoni del deserto  scorazzano da nord a sud e da est ad ovest con l'unico obiettivo di prestare soldi che qualora non vengano restituiti si tramutano in beni reali.
No, continuavo a dire a me stesso, qui c'è qualcosa che non va, qualcosa che non funziona. Di questo passo l'intero pianeta potrebbe essere messo in vendita e quando la terra sarà tutta venduta a questa banda di strozzini senza patria, senza nazione, senza ideali, se non la patria e il dio del denaro, gli uomini avranno perso la gioia di vivere, avranno perso il bene supremo della libertà.
Uomini di qualunque razza e colore saranno trattati sulla base delle rispettive carte di credito, nazioni di occidente e di oriente saranno giudicati e valutati in base al debito pubblico, e così sarà la fine: se le famiglie avranno la carta di credito scaduta perderanno la loro casa e se gli stati avranno il debito pubblico fuori i limiti perderanno il patrimonio pubblico.
Ecco ciò che sta accadendo tra l'indifferenza dell'umanità preoccupata solo dell'ultima marca di telefonino e di quanto costa l'I-Pad, l'ultima diavoleria elettronica.

Fiore, duro attacco al museo della Shoah



Fiore, duro attacco al museo della Shoah."Uno scandalo dargli i fondi comunali"
Da Genova il leader di Foza Nuova attacca l'istituzione, a cui il sindaco Alemanno ha assegnato 13 milioni di euro. "Un omaggio ai poteri forti romani"


Da Genova, nel corso di un comizio, il segretario nazionale di Forza Nuova Roberto Fiore attacca il simbolo del sacrificio degli ebrei durante l'Olocausto: il museo della Shoah che ha sede qui nella capitale. Definendo "uno scandalo" i finanziamenti che gli ha assegnato il Comune di Roma.

 
Ecco le sue parole: "Nella crisi il sindaco Alemanno a  Roma destina 14 milioni di euro alle scuole in uno stato disastroso e 13 milioni al museo della Shoah". E ancora: "Destinare 13 milioni di euro per finanziare l'edificazione del museo della Shoah è un omaggio ai poteri forti romani, è uno scandalo, mentre lo stato di crisi della nostra gioventù in Italia è evidente. 'Case popolari' è una parola di cui non sentiamo più parlare da decenni".


Dichiarazioni, queste del leader di Forza Nuova, destinate a far discutere.
(26 giugno 2010) © Riproduzione riservata da http://www.repubblica.it/

Adiconsum, Pec arma a doppio taglio?

Adiconsum, Pec arma a doppio taglio? E-government PubblicaAmministrazione.net

domenica 27 giugno 2010

Eurasia rivista di studi geopolitici


  Gentile Lettore,
di seguito gli aggiornamenti al sito di "Eurasia" di questa settimana (19-25 Giugno c.a.):
Le elezioni in Slovacchia
Alessio Bini, 24 Giugno 2010
l risultato delle elezioni slovacche ha messo in luce, allo stesso tempo, la popolarità di cui gode ancora il primo ministro uscente Robert Fico ed il rifiuto, da parte dell'elettorato, di molte delle sue politiche a cominciare da quelle più marcatamente nazionaliste.
Okinawa: la "chiave di volta" del Pacifico
Matteo Pistilli, 23 Giugno 2010
Continua il contenzioso sulla presenza della base Usa sull'isola di Okinawa e mentre parte della politica giapponese insiste per la rimozione può essere utile sottolineare l'importanza strategica dell'isola per gli Usa.
Gasdotti e geopolitica
Gianni Petrosillo, 22 Giugno 2010
L'ingresso della francese Électricité de France nella joint venture South Stream AG - Consorzio di cui sono patrocinatori Eni e Gazprom, volto alla realizzazione dell'infrastruttura di gasdotti che attraverserà il Mar Nero per sbucare nell'Italia del sud e in Austria - è cosa fatta.
"Strategia della tensione" contro la Turchia
Aldo Braccio, 22 Giugno 2010
É in corso una guerra, "a bassa intensità" ma alquanto sanguinosa, che sembra non attirare più l'interesse dei grandi mass media occidentali: quella che flagella la zona di confine tra Turchia e Iraq, da una parte e dall'altra, con attentati terroristici e bombardamenti.
Relazioni bilaterali della Cina: il caso dell'Australia
Emanuele C. Francia, 20 Giugno 2010
Da alcuni anni la Cina sta coltivando e intessendo profonde relazioni politico-economiche (ma non solo) con importanti Paesi dello scacchiere internazionale. Il caso delle ottime relazioni con l'Australia è significativo, ma occorre rilevare che ultimamente si sono verificate alcune increspature.
E tanti altri articoli sono disponibili sul sito.
Le ricordiamo che è attualmente disponibile in libreria l'ultimo numero di "Eurasia" (1/2010) dedicato a La Russia e il mondo multipolare
Buona lettura!
  la Redazione

 
Pagina principale sito: eurasia-rivista.org

 
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sabato 26 giugno 2010

E' uscito il n. 1/2010 di Orizzonti (trimestrale del Circolo Culturale Filippo Corridoni).



 
Il numero è prevalentemente dedicato al Cinema Coloniale italiano dal 1909 al 1939.


L'iscrizione al Circolo Culturale Filippo Corridoni (indispensabile per ricevere 4 numeri di Orizzonti) per il 2010 prevede una quota minima di 15 euro da versarsi sul CCP n. 12231445 intestato a Circolo Culturale Filippo Corridoni - casella postale 109 - 43100 - Parma.
Gli iscritti potranno anche ricevere (versando, oltre la quota, 12 euro comprensive delle spese di spedizione) il volume "Per l'Italia - I caduti per la causa nazionale 1919-1932)"- In 208 pagine sono presenti 769 sintetiche biografie dei Caduti in 92 provincie italiane, nonchè in Jugoslavia, Francia, Belgio, Lussemburgo, U.S.A. e Argentina. In appendice: I Caduti di Fiume, I Caduti del Teatro "Diana", I Caduti di Empoli, I Carabinieri Caduti (1919-1922) I Caduti 1933-1941. Il libro, con copertina plastificata a colori, è corredato da 126 illustrazioni. Sono disponibili (a 10 euro complessivi, comprendenti anche le spese di spedizione)  i fascicoli (con immagini a colori) "L'Italia s'è desta" interamente dedicato ai Combattenti della RSI e "La vera Rivoluzione d'Ottobre" dedicato alla Marcia su Roma. Il Circolo ha stampato anche tre serie di cartoline: Arriba Espana (8), Immagini di una certa Europa (9) e Fiamma (4). Le tre serie sono disponibili a 10 euro complessivi, comprendenti anche le spese di spedizione). Un sostenitore del Circolo, come forma di finanziamento indiretto, ha messo a disposizione, per chi fosse interessato un certo numero di quotidiani (prevalentemente Corriere della Sera) relativi al periodo della RSI. A tutti coloro che invieranno, scegliendo una delle proposte di cui sopra,  i loro contributi verrà spedito un
manifesto  a colori, formato A3, con l'immagine di Filippo Corridoni.

Per informazioni filippocorridoni@libero.it

venerdì 25 giugno 2010

GENOVA, 30 GIUGNO 1960 / 2010



 
GENOVA, 30 GIUGNO 1960 / 2010
All'insegna del solito "antifascismo militante", le democratiche istituzioni genovesi stanno per dare il via alle tanto strombazzate celebrazioni dei "fatti del giugno 1960":


http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/genova/2010/05/25/AMzvRwiD-celebrazioni_cortei_tumulti.shtml



Oltre a spendere svariate migliaia di Euro alle spalle dei contribuenti genovesi,
gli "antifascisti di mestiere" si apprestano anche a perpetuare la loro "verità accomodata",



condìta di omissioni e di bugie. Come mai non viene mai ricordata la crisi della giunta comunale di Genova (maggio 1960) a seguito della - determinante - defezione del MSI dalla maggioranza dell'amministrazione civica ?  Perchè, ancora oggi, viene contrabbandata come "verità storica" la menzogna (confezionata ad arte dal PCI per aizzare maggiormente la piazza) che il congresso missino sarebbe stato presieduto da Carlo Emanuele Basile, ex prefetto di Genova durante la RSI ? 



Perchè non viene mai ricordato che il MSI aveva già tenuto in precedenza due congressi in città altrettanto antifasciste - Viareggio (1954) e Milano (1956) - ed in entrambi i casi senza alcun incidente ? Perchè non si parla mai degli apparati militari del Partito comunista e dell'Anpi che mobilitarono migliaia di ex partigiani e militanti - pesantemente armati - non solo a Genova  ma, in tutta Italia ?  Perchè non si entra mai nei macabri dettagli delle aggressioni ai poliziotti in Piazza De Ferrari ? 


Come avrebbero potuto dei semplici "antifascisti indignati" causare il ferimento di 128 poliziotti e la distruzione di 18 automezzi della Celere di  Padova, se non con l'aiuto di un'efficiente struttura politico-militare avente per obiettivo principale l'abbattimento del governo ? 


In realtà il 30 giugno 1960 fu per Genova l'inizio della sua decadenza, con la consegna delle chiavi della città ai rappresentanti politici della dittatura catto-comunista.


Oggi, rispetto a cinquant'anni fa, la città ha subìto un pesante calo demografico, possiede un porto che è l'ombra di se stesso ed è ostaggio di un'illegalità dominante, dove l'immigrazione clandestina, diffusa e tollerata,  prende sempre più campo:
 http://ilsecoloxix.ilsole24ore.com/p/genova/2010/05/26/AMnFm3iD-violenza_notturna_vicoli.shtml



Per capire come realmente si svolsero e cosa determinarono i "fatti del giugno '60" è, pertanto, vivamente consigliata la lettura di:

 

mercoledì 23 giugno 2010

Con Street View Google raccoglieva anche le password

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Goldman Sachs sa



 
di Pino Cabras - 22/06/2010


Fonte: pino cabras

La falla petrolifera da cui si spilla la marea nera nel Golfo del Messico risale davvero al 20 aprile 2010? È veramente da allora, dal giorno in cui una grande esplosione ha danneggiato la piattaforma semisommergibile Deepwater Horizon, che tutto è cominciato? Di certo, l'enormità del disastro ecologico si traduce - ogni giorno da quel giorno - in tanti nuovi dollari da far sborsare alla BP (British Petroleum). Chi possiede quelle azioni perciò le vende, perché nel firmamento del rating oggi hanno meno stelle di ieri, e domani ne avranno ancora meno di oggi.
È pertanto normale registrare grandi vendite di tutti i grandi investitori. Qualcuno però aveva visto lontano, quando le stelle erano invece abbastanza numerose da sconsigliare vendite massicce. C'era chi aveva venduto più di tutti, alcuni mesi PRIMA di quel fatidico giorno di aprile. Come spesso accade, queste operazioni che fanno galleggiare mentre gli altri affondano, con fenomenali atti di preveggenza finanziaria, hanno una firma: Goldman Sachs.
È un nome ormai al centro di tutte le vicende chiave delle classi dirigenti dell'Impero, specie se si tratta di gialli finanziari. Colpisce il livello di penetrazione di dirigenti di provenienza Goldman Sachs in tantissimi ruoli fondamentali di governo, come se la banca fosse un'agenzia votata a formare governanti, ben oltre l'insider trading. E non solo nell'amministrazione Obama. Pensate a Prodi e a Draghi. La Grande Crisi finanziaria di questi anni vede al timone delle navi in tempesta tanti uomini e donne di stretta osservanza Goldman, che riappaiono in tutte le vicende. Un sorvegliato speciale, ormai, ma molto sfacciato e tutto sommato tranquillo.
Non è un caso se la SEC ha fatto causa contro la superbanca d'affari e uno dei suoi vice presidenti lo scorso aprile, con l'accusa di truffa, per aver nascosto la reale natura di un prodotto finanziario basato su ipoteche e intrinsecamente progettato per fallire: a fallire ovviamente è stata una massa sterminata di acquirenti.
Dunque, un articolo su Raw Story descrive in dettaglio il modo in cui Goldman Sachs si è liberata di gran parte del suo portafoglio di azioni BP nei primi tre mesi del 2010. In un momento in cui non c'erano ragioni particolarmente urgenti, la previdentissima banca ha venduto più di due volte di tutti gli altri detentori di azioni BP messi assieme, spogliandosi del 44% del suo investimento nella compagnia petrolifera e incassando quasi 270 milioni di dollari. Se avesse tenuto fino ad oggi quelle azioni, esse avrebbero perso il 36% del loro valore, che si sarebbe aggiunto alle perdite della parte rimanente del portafoglio.
La Goldman Sachs ha modo di conoscere "da dentro" tutti quelli che contano, anche BP. Dal 1997 al 2009 – cioè sino a ieri - il presidente di BP è stato un rubizzo signore irlandese che risponde al nome di Peter Sutherland, dal 1995 presidente di Goldman Sachs International, una sussidiaria che fa compravendita di azioni per la controllante Goldman Sachs Group. Non sono gli unici suoi incarichi. Se volete contare le poltrone collezionate da questo personaggio, facciamo notte. Non importa se certe sue organizzazioni sono finite male, secondo la logica dell'uomo della strada. Una banca da lui guidata crolla per un gorgo di debiti? Il giorno dopo qualcuno lo assume per un incarico ancora più importante, ai piani alti, fra gente che non ama perdere. Era lui ad esempio il direttore del Royal Bank of Scotland Group, la grande banca britannica che faceva da architrave per il folle sistema dei crediti subprime, di fatto nazionalizzata nel 2008 dall'allora premier Gordon Brown per evitare la catastrofe di una bancarotta che avrebbe fatto crollare Londra. Sutherland si è forse ritirato? Macché, ha continuato a stare in BP, e poi in Goldman, e dentro i consigli di amministrazione della Allianz e di altre società di mezzo mondo, lui che è stato anche direttore generale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, Commissario europeo, nonché – per non farsi mancare nulla - membro dello "steering committee" del superelitario Gruppo Bilderberg e presidente dell'altrettanto elitaria Commissione Trilaterale.
Ciliegina sulla torta, da bravo cattolico irlandese, ha anche buone entrature vaticane, in qualità di "consultore della sezione straordinaria dell'Amministrazione del Patrimonio della Santa Sede".
Insomma, fra amici ci si aiuta, e ogni danno d'immagine sarà riassorbito, e magari troverà le sue camere di compensazione, tra chi guadagna e chi perde nei piani alti, dove certe notizie si sanno prima degli altri. Ai piani bassi invece si perde tutti.

Cos’hanno in comune la BP e le banche? L’era dell'anarchia aziendale



 
Cos'hanno in comune la BP e le banche? L'era dell'anarchia aziendale
di Gonzalo Lira - 22/06/2010
 
Fonte: Come Don Chisciotte [scheda fonte]
 
In occasione del disastro della marea nera della BP, il presidente Obama ha rilasciato ieri sera dalla Sala Ovale un discorso – un capolavoro di timida finta indignazione. Il discorso era tutto incentrato su "energia pulita" e "porre fine alla nostra dipendenza dai carboni fossili". A fronte della marea nera della BP – probabilmente il più grave disastro ambientale di tutti i tempi – la risposta del presidente Obama è stata questa: gentile indignazione e vaghi piani per "adottare la linea dura", "mettere da parte la sola compensazione" e "fare qualcosa".

 
Il presidente Obama non ha capito veramente di cosa si tratti. Sebbene è indubbio che sia un disastro ambientale, la marea nera della BP è molto, molto di più.

 
La dispersione di petrolio della BP è parte dello stesso problema della crisi finanziaria: sono due esempi dell'era nella quale viviamo, l'era dell'anarchia aziendale.

 
In poche parole, in questa era di anarchia aziendale, le società non devono osservare alcuna regola – nenche una. Legali, morali, etiche, persino quelle finanziarie sono irrilevanti. Sono state tutte annullate in nome della ricerca di profitti – letteralmente non conta nient'altro.

 
Di conseguenza, al momento le aziende vivono in uno stato di quasi mera anarchia – ma un'anarchia direttamente proporzionale alla loro grandezza: più la società è grande, più è grande la sua assoluta libertà di fare ed agire come vuole. Ecco perchè così tante medie imprese sono tanto determinate nella crescita dei profitti: le più grandi, come la BP o la Goldman Sachs, vivono in un positivista hobbesiano Stato di Natura, libere di fare ciò che vogliono, senza conseguenze.

 
Il valore aggiunto di tutto ciò, tuttavia, è che le aziende maggiori hanno convinto i governi e le persone del credo del "Troppo Grande Per Fallire" – hanno convinto il mondo che se esse smettono di esistere, il cielo ci cadrà in testa. Quindi se falliscono, devono essere salvate – senza discussioni, senza penalità e senza riforma.

 
Prendiamo la BP: la British Petroleum ha causato la marea nera della Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Varie agenzie del Governo Federale erano state incaricate della supervisione delle loro operazioni – ma tutte quelle agenzie sono state rinviate alla BP, prima dell'incidente. Essendo una grande società – una delle maggiori compagnie petrolifere nel mondo – la BP operava praticamente senza alcuna vera supervisione del governo. Di fatto sta emergendo, a causa di questa supervisione negligente e subdola, che le regole e le procedure di sicurezza sono state ignorate. Si sono corsi rischi folli. Non sono stati tracciati piani di sicurezza alternativi.

 
Da come stanno dichiarando alcuni promemoria, il disastro era inevitabile.

 
Una volta accaduto l'incidente, la BP ha controllato le informazioni rilasciate riguardo il disastro. La BP ha deciso in maniera unilaterale di non procedere immediatamente con il sigillo del pozzo – anzi, ha rischiato un disastro maggiore per poter salvare il giacimento di petrolio, scavando un "pozzo supplementare". Le sue ragioni erano semplici: realizzando immediatamente il sigillo, la BP avrebbe sacrificato il giacimento (e perso il suo impiego) allo scopo di salvare l'ambiente. Non lo ha fatto. Al contrario, ha cercato di allungare il processo, in modo da salvare il giacimento (ed i profitti) con il "pozzo supplementare". Ma quando nascondere l'entità del danno è diventato impossibile – quando l'odore di petrolio si era diffuso nei cieli chiari della Louisiana a mille miglia dal luogo del disastro – la BP ha provato a realizzare il sigillo. Sappiamo tutti com'è andata a finire.

 
Dove erano le autorità? Dov'era qualcuno in carica? Il fatto è che non c'era nessuno in carica. Non c'era nessuno che controllasse – o ad ogni modo, a quelli che dovevano farlo sono stati strappati i denti. E la BP lo sapeva – quindi hanno fatto come volevano, senza badare ai rischi o ai costi.

 
La cosa peggiore, e la BP se ne rende conto, è che se alla fine non riescono a trovare un modo per gestire il disastro della marea nera, possono semplicemente mentire agli Stati Uniti. Il governo – in altre parole, la popolazione americana, liquiderà la faccenda ripulendo il casino della BP. La BP sa che nessuno la riterrà responsabile – sa che la farà franca.

 
E neanche le banche verranno ritenute responsabili. Non è un caso che le banche europee ed americane sono quasi crollate, ma le banche qui in Cile hanno filato dritto: questo perchè qui le banche sono regolate all'estremo. Non possono letteralmente scureggiare senza che un ispettore bancario indipendente le controlli, e senza che dopo ottengano un bollo in triplice copia. Quando le banche cilene crollarono nel 1980, fu messa fine all'illusione che le banche sapessero quello che stavano facendo – il governo ha poi garantito per loro, ma da quel momento in poi le ha tenute sotto vetro.

 
Ma in Europa ed in America, la storia era la Greenspan Put [politica monetaria ideata da Alan Greenspan, ndt]. Disinvolto, Al era così convinto che le banche si sarebbero "auto-regolate" che ha strappato i denti alla Fed, l'agenzia di regolamentazione delle banche, ed ha lasciato che il "libero mercato" facesse il suo corso.

 
Con un tale via libera, cosa pensate abbiano fatto le banche? Erano anarchiche – hanno inventato tutti i tipi di abili "prodotti finanziari" che hanno aumentato il rischio in maniera esponenziale, piuttosto che mitigarlo. Abbiamo visto tutti la fine di quel film. Quando Lehman è andato in rovina ed il mercato del credito si è congelato, è stato tracciato un improvvisato "pachetto di emergenza", poi i 700 miliardi di dollari di TARP [Trouble Asset Relief Program, Programma di Recupero delle Attività in Difficoltà, ndt], poi l'Allegerimento Quantitativo, tutti questi sforzi lubrificati con un sacco di chiacchiere circa "rinforzare l'ambiente delle regolamentazioni" e "proteggere i mercati finanziari".

 
Il risultato? Le banche hanno fatto quello che volevano – senza supervisione. E quando la loro incoscienza ha inevitabilmente portato alla catastrofe dell'autunno 2008, le banche sono state salvate – senza ripercussioni. Le maggiori sono addirittura riuscite a fare dei profitti con i bail-out finanziati dai contribuenti!

 
Anche dopo il peggio della crisi – quando gli effetti dell'assenza di regolazione e di supervisione erano state chiaramente capite – non è successo niente. Il regime della regolazione-zero, supervisione-zero è continuato.

 
Questo non è il caso delle persone, degli individui: la gente viene regolata, la gente viene controllata. Gli individui vengono monitorati e limitati in ciò che possono dire o fare – e nessuno si lamenta. Al contrario – ci sentiamo tutti sollevati, perchè ci sentiamo protetti dal comportamento irrazionale dell'individuo.

 
Come individuo, vengo limitato in innumerevoli modi, dal più banale, come andare in giro, al più grave, come l'omicidio. Non posso neanche alzarmi e gridare "A fuoco!" in un teatro affollato – verrei arresato per incitazione del panico, l'interesse generale di evitare una potenziale fuga letale che calpesta il mio bisogno di esprimermi gridando "A fuoco!" quando non ci sono incendi.

 
Curiosamente, gli individui – la gente normale – vengono controllati e regolati sempre più rigorosamente. Tuttavia allo stesso tempo, le aziende diventano sempre più libere di fare come vogliono. Nessuno nota quanto sia strano tutto questo – abbiamo persino perso il contesto per anche solo parlare di regolamentare e controllare le aziende, perchè troppi sciocchi sapientoni mettono la regolamentazione ed il controllo sullo stesso piano del socialismo.

 
Intanto, le banche gestiscono in modo folle.

 
Intanto, la BP gestisce in modo folle.

 
Possiamo guardare ad altre industrie – la Big Pharma, per dirne una – ma non ce n'è veramente bisogno: la Big Pharma si adatta allo stesso modello della BP e delle banche. Espanditi al punto da poter fare ciò che vuoi e nessuno ti sfiderà, neanche il governo. Realizza pratiche che creeranno inevitabilmente una crisi – come la trivellazione a rischio, come i titoli tossici – e sta sicuro che verrai salvato.

 
Salvato, e con il permesso di andare avanti, libero. Con il "permesso" di continuare, libero? Scusate, ho sbagliato: incoraggiato a continuare, libero.

 
Questa era di anarchia aziendale sta raggiungendo un punto critico – lo possiamo tutti percepire. Tuttavia i governi negli Stati Uniti ed in Europa non fanno nessuno sforzo per risolvere il problema di fondo. Forse non vedono il problema. Forse sono grati ai padroni aziendali. In ogni caso, nel suo discorso, il presidente Obama ha fatto dei riferimenti ridicoli all'"energia pulita" mentre ignorava la causa della marea nera della BP, la causa della crisi finanziaria, la causa del vortice dei costi della sanità – l'anarchia aziendale che le sottende tutte.

 
Quest'era di anarchia aziendale sta distruggendo il mondo – letteralmente, se vi è capitato di vedere le immagini del petrolio fluttuare per un miglio nel golfo del Messico.

 
Penso che siamo ad un bivio: un sentiero conduce ad un cambiamento rivoluzionario, se non ad un'immediata rivoluzione. L'altro, appagamento e stasi, mentre le aziende frantumano il paese.

 
Quello che intendo è che non ci sarà nessun cambiamento rivoluzionario. Le aziende hanno vinto. Hanno vinto quando hanno convinto i migliori ed i più svegli – che io solevo essere – che l'unico sentiero verso il successo era quello della carriera aziendale. Non necessariamente tramite aziende a scopo di lucro – sembra che i liberalisti non capiscano mai abbastanza quanto perniciose e corporativiste siano davvero le organizzazioni no-profit; o forse lo sanno, ma sono abbastanza intelligenti da non criticarle, dato che quelle no-profit e ONG gli pagano i pasti.

 
Obama è un aziendalista – è uno di loro. Perciò verrano dette altre stronzate riguardo l'"energia pura" e l'"indipendenza energetica", mentre la causa di fondo – l'anarchia aziendale – viene lasciata indisturbata.

 
Ancora una volta: grazie a Dio non vivo più in America. È troppo triste restare a guardare mentre una grande nazione se ne va giù per lo sciacquone.


Gonzalo Lira, scrittore di romanzi e regista (ed economista) al momento vive in Cile e scrive su gonzalolira.blogspot.com


Titolo originale: "What do BP and the Banks Have In Common? The Era of Corporate Anarchy"


Fonte: http://gonzalolira.blogspot.com/
Link
16.06.2010


Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org/ a cura di ROBERTA PAPALEO

martedì 22 giugno 2010

Meglio tardi che mai!




 La sinistra squadrista che mi cerca
di Piero Sansonetti - 21/06/2010


Fonte: il riformista [scheda fonte]

 Poche sere fa, a Roma, nella sede di un centro sociale nel quartiere San Lorenzo, si è tenuta una commemorazione del poeta Edoardo Sanguineti, morto all'improvviso, un mese fa, per un malore. Conoscete, credo, Sanguineti. Era un esponente di punta del gruppo '63, era un intellettuale – come dire? – rivoluzionario, che aveva fatto del rifiuto della forma e della normalità il suo imperativo categorico. Gli piaceva disarticolare le idee, disarticolare il linguaggio, i luoghi comuni, l'ovvio, il semplice. Sanguineti era un poeta, un intellettuale ricco e intricato, e sicuramente era un marxista, anche se il suo marxismo aveva una caratteristica specialissima e molto molto rara: non era affatto dogmatico.
Sanguineti negli ultimi sei mesi della sua vita aveva accettato di avere una collaborazione regolare col settimanale che io dirigo, che si chiama Gli Altri. Scriveva una rubrica tutte le settimane, sempre originale, arguta, sorprendente. Il senso della collaborazione era chiarissimo: portare una voce "comunista" dentro un giornale di sinistra che – dichiaratamente – si misura con l'impresa dell'uscita dal comunismo. Avevamo proposto a Sanguineti di chiamare proprio così la sua rubrica: "Il comunista". Invece lui aveva preferito dargli un altro nome, più generale, forse più impegnativo: "il materialista".
Gli organizzatori della commemorazione di Sanguineti mi hanno invitato a partecipare alla cerimonia e a leggere un brano del poeta, a mia scelta. Avevo accettato, e ne ero fiero. Avevo deciso di leggere l'ultimo suo articolo scritto per il nostro giornale ai primi di maggio.
Ieri pomeriggio, poco prima della cerimonia, mi ha telefonato uno dei dirigenti del centro sociale che ospitava la commemorazione. E con toni e argomenti assai gentili e ragionarveli mi ha pregato di rinunciare alla partecipazione. Perché?
Dovete sapere che un mesetto fa – insieme ad altri giornalisti e collaboratori del mio settimanale ma anche di altri giornali e a qualche docente universitario – avevo firmato un breve appello nel quale chiedevo che alla destra radicale fosse riconosciuto il diritto a manifestare. Diceva l'appello: «Siamo molto lontani dalle idee del Blocco Studentesco, ma crediamo che a nessuno possa essere proibito di manifestare pacificamente né di partecipare a una consultazione elettorale». Avevamo firmato quel documento perché un gruppo cospicuo di docenti e di studenti aveva firmato un altro appello – opposto – nel quale si chiedeva alla polizia di vietare la manifestazione. Noi pensiamo che vietare le manifestazioni politiche sia un atto autoritario e reazionario, per questo ci opponiamo sempre.
Una parte di quelli che volevano impedire il corteo di Blocco Studentesco ci ha giurato vendetta. Due o tre volte è venuta a disturbare nostre iniziative, nelle ultime settimane: poco male. L'altro giorno questi ragazzi hanno fatto sapere a quelli del centro sociale che se io avessi parlato all'incontro su Sanguineti, loro avrebbero fatto irruzione nella sala e avrebbero fatto saltare la cerimonia. Per questo mi si chiedeva di rinunciare. Io da qualche anno coltivo una idea nonviolenta della vita e della politica. E poi proprio non mi andava di rovinare una celebrazione di Sanguineti. Per carità. Ho accettato di ritirarmi.
Però qualche riflessione vale la pena di farla. Dentro la sinistra ci sono gruppi che hanno ormai un solo valore, intorno al quale si organizzano e sviluppano il proprio pensiero: l'intolleranza. A me verrebbe da dire che sono gruppi con nette venature totalitarie e fasciste, ma l'uso della parola fascista, fuori da un contesto, non ha molto senso oggigiorno, e dunque è meglio non usarla. So che nei prossimi mesi a me sarà molto difficile apparire in pubbliche manifestazioni (come succede anche a Paola Concia, deputata del Pd che questi gruppetti hanno aggredito recentemente al grido di "lesbica isterica", o come succede a Imma Battaglia e ad altri). Non è la prima volta che pago questo scotto alle cose che penso e dico e faccio. Mi successe tre anni fa, quando Liberazione pubblicò dei bellissimi reportage da Cuba di Angela Nocioni. Naturalmente critici con Fidel Castro. Per sei mesi la mia presenza fu cancellata da tutte la manifestazioni politiche di sinistra.
Chiedo ai tanti compagni di strada che ho avuto in questi anni, ai professori che firmano appelli "antifascisti", ai giornalisti di giornali militanti amici: voi che idea vi siete fatta? Voi credete normale o preoccupante che esistano pezzi di sinistra così vicini, per modi di pensare e di agire, allo squadrismo? Voi non temete che questo virus si estenda? Temo che nessuno mi risponderà.

Melting pot senza condizioni


Melting pot senza condizioni
di Fabio Mazza - 20/06/2010


Fonte: movimentozero [scheda fonte]




Da studenti di giurisprudenza, accogliamo sempre con un certo divertimento le sentenze della corte di cassazione, perché confermano una nostra teoria, perorata tra l'altro da anni di frequentazioni di professori e "ricercatori" di tale ambiente "d'elite", che chiunque passi anni tra codici e nella memorizzazione pedissequa di articoli e fattispecie, è destinato invariabilmente a perdere il contatto con la realtà. O peggio, a creare una realtà edulcorata basata sugli "immortali princìpi" della nostra "sacra" costituzione, feticcio da adorare come un Libro Sacro, da non contestare mai, oggetto di masturbazioni collettive di codesti individui.
La storia delle pronunce della corte di cassazione è lunga e anche molto divertente, e non staremo qui a ricordarla. Ci vogliamo invece soffermare su una delle probabili -in quanto attesa tra qualche giorno- ultime "perle" della stessa, che, tra l'altro, non nasce dal nulla, ma si inserisce in un quadro preciso di "politically correct", di invito al "multiculturalismo", all' "integrazione" e via dicendo.
Il caso è quello recente di una coppia italiana che si era dichiarata disponibile all'adozione di due bambini, di età non superiore ai cinque anni, non importa di quale sesso e religione. E già qui, aggiungiamo noi, la "tolleranza" è a buoni livelli, per gli standard buonisti della nostra società. Ma, aggiungevano, non erano disponibili ad accogliere bambini di pelle scura o di etnìa tipicamente non europea.
Apriti cielo. È arrivata la solita associazione di "volontariato", di anime belle che intendono colmare i loro vuoti interiori con un peloso aiuto ai bisognosi, ai derelitti, agli svantaggiati e ai discriminati. Nulla di che in questo. Se in questa società non è più possibile trovare un centro in sé stessi, e se si è davvero obbligati a "muoversi", a fare, a produrre, quantomeno questa attività supplisce in parte alla scomparsa della struttura familiare-patriarcale e delle reti di solidarietà tra vicini e consimili, ed è certo più "meritevole" (anche se comunque indice di disequilibrio). Il problema è che tutta questa gente ha, congenito, un tremendo vizio: sono convinti di detenere l'unica verità. Sono convinti che il loro intervento sia necessitante per salvaguardare la deriva "fascista" e "xenofoba", tutti bei termini che fanno tanto audience e piacciono tanto alle suddette anime belle. Sono convinti di dover redimere, educare, formare tutto il mondo, un po' come i loro antenati enciclopedisti, accecati dalle magnifiche e progressive sorti dell'umanità.
Questa associazione ha fatto ricorso sulla base del fatto che il decreto emesso dal tribunale contiene "una palese discriminazione su base razziale nei confronti di minori di colore e di etnia straniera a quelle presenti in Europa". La decisione è attesa nelle prossime settimane, ma non sarebbe strano se, sull'onda del buonismo livellatore imperante, si decidesse di mettere alla berlina questa coppia.
Possiamo già immaginare i cori dei mondialisti e multiculturalisti: "i bambini sono tutti uguali, sono tutti belli e innocenti": affermazione in fondo anche veritiera. Ma non è stato considerato qui un punto di primaria importanza: avrà questa coppia il diritto di scegliere di integrare nella loro famiglia qualcuno che sia il più possibile simile a loro? Avranno diritto di volere un figlio, anche non loro, che gli rassomigli il più possibile? Anche solo per dare la possibilità al bimbo, nel caso egli fosse di tenera età, di fargli credere di essere il loro figlio naturale per fargli avere un'infanzia serena, cosa che evidentemente non è possibile fare se il colore della pelle è nero o gli occhi sono a mandorla? O fosse anche per qualsiasi altra ragione, sarà comunque diritto di ognuno decidere di chi circondarsi? Che tipo di persone avere nella propria vita? Secondo la società modern-buonista evidentemente no. Occorre omologarsi ai diktat dell'accoglienza, dell'indiscriminato "amore" verso tutto e tutti. Perchè come si è visto, non sempre c'entra il razzismo. Ma questi sono dettagli per gli ideologizzati del politicamente corretto dominante, anche fosse per la volontà dei genitori di dare al bimbo un'infanzia più normale possibile, cosa di cui probabilmente a loro interessa ben poco, molto meno che non conformarsi al dogma imperante del melting pot universale programmato.
E che dire allora dei molti casi di coppie vip bianche che nell'adottare dei bambini, li scelgono tutti rigorosamente non europei -soprattutto neri, ma anche asiatici, arabi ecc: si tratta di razzismo oppure no? Tutti i vari "umanitaristi" del mondo dello spettacolo, da Madonna ad Angelina Jolie e Brad Pitt (nella foto in alto con la loro famiglia "multietnica"), da Emma Thompson a Meg Ryan -solo per citarne alcuni perchè la lista sarebbe sterminata- che adottano bimbi in difficoltà ma solo se neri o con gli occhi a mandorla, perchè si noti in modo indelebile che trattasi di figli adottivi presi dai paesi poveri, in modo da diventare sempre più appetibili per sponsor e quant'altro...tutta questa bella forma di sciacallaggio "umanitario" mediatico non è forse essa stessa una forma di razzismo all'incontrario, un vero atto discriminatorio e a sfondo razziale, seguendo i parametri degli universalisti?
E' evidente la mala fede di questa mentalità, anche da un altro punto di vista. Se per esempio, di fronte alla richiesta di potere scegliere il sesso del bambino adottivo si ribadisce che ciò non è possibile allo stesso modo in cui non si può scegliere il sesso del figlio naturale (giustissimo), mettendola su questo tenore, se cioè il bimbo adottato deve seguire il più possibile una condizione "naturale", allora dovrebbe valere per ogni aspetto del bimbo, anche per l'etnia, senza che si tirino in ballo assurdità ridicole tipo razzismo o altro. Perchè seguendo questa logica, la prima ad essere "razzista" sarebbe la natura che si ostina da millenni a far nascere da genitori bianchi, bimbi bianchi.
Evidentemente qui, diversamente dalla scelta del sesso, il discorso non vale più: la natura va "corretta", perchè tutto deve essere multi-qualcosa, di modo che in futuro nel nostro mondo resti solo un'unico amalgama informe di individui multi-etnici, multi-culturali, multi-religiosi ma rigorosamente tutti uguali -tutti uguali in quanto mischiati- tutti consumatori accaniti, tele-dipendenti, tecno-dipendenti e sostenitori unanimemente dell'"american way of life". Perchè se al mondo restasse ancora qualche identità di qualunque tipo -etnica, religiosa, culturale- questo progetto naufragherebbe. Questo è quello che si vuole. Per tutti, per ogni popolo, per ogni luogo, senza condizioni.

lunedì 21 giugno 2010

Storia del Novecento




Storia del Novecento


diretto da Marco Bozzato




In questo numero:





LA COS.MO.S
La produzione dei mezzi d'assalto della Marina Militare nel dopoguerra
di Daniele Lembo


LA BUGIA CHE SERVÌ AGLI USA PER ENTRARE NELLA GRANDE GUERRA
"1917: i Tedeschi hanno affondato il piroscafo civile Lusitania!"
di Giovanni Marizza


Il F.N.A. E IL TZ 45
Lo strano viaggio di due mitra, dalla Repubblica Sociale Italiana al sequestro Moro.
di Daniele Lembo


USTICA: UNA LUNGA SEQUELA DI MORTI SOSPETTE
di Fernando Riccardi


GLI ASSI TEDESCHI E LE LORO INCREDIBILI VITTORIE.
Storia di Hans Joachim Marseille
di Daniele Lembo


IL MISTERIOSO ASSASSINIO DI ETTORE MUTI
di Fernando Riccardi


PORZUS
Prove generali di Guerra fredda
di Vincenzo Maria de Luca


VERCELLI, 7 MAGGIO 1945, LO STERMINIO DI UNA FAMIGLIA.
di Lodovico Ellena


SAI AMBROSINI 207 E SAI AMBROSINI 403 DARDO
Un caccia leggero per la Regia Aereonautica.
di Daniele Lembo


PER NON DIMENTICARE GLI ITALIANI CACCIATI DAL NORD AFRICA
di Danilo Epepone


L'ULTIMA TRINCEA DELL' ONORE – I SARDI A SALO'
L'ultimo libro di Angelo Abis
Recensione redazionale


IL FALCO E IL LEONE
"Soldati italiani al confine orientale 1941-1943"
Recensione redazionale










IN TUTTE LE MIGLIORI EDICOLE


Per richieste: storiadelnovecento@tin.it

AMICI DEL VENTO - OPERA OMNIA



AMICI DEL VENTO - OPERA OMNIA
Finalmente tutte le canzoni realizzate, in oltre 25 anni, dal più classico gruppo di Musica Alternativa:
gli AMICI DEL VENTO - raccolte in un solo CD
43 brani, nella loro migliore versione, riprodotti in formato mp3, facili da ascoltare non più solo a casa o in autoradio (con apparecchi di nuova generazione), ma anche su computer o sugli ormai diffusissimi lettori mp3 portatili.
Il CD contiene anche un file con tutti i testi commentati delle canzoni


Disponibile a soli 10 euro sul sito http://www.lorien.it/
Oppure presso le migliori librerie d'area
Attualmente da:
- Spazio Ritter, via Maiocchi 28 - Milano
- Ferlandia. via Roma 100 - Predappio
- Raido, via Sciré 21 - Roma

domenica 20 giugno 2010

EURASIA rivista di studi geopolitici


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  Gentile Lettore,
di seguito gli aggiornamenti al sito di "Eurasia" di questa settimana (Dal 12 al 18 Giugno 2010):
Kirghizistan, un perno geopolitico
William F. Engdhal, 18 Giugno 2010
Nel profondo dell'Asia centrale, il Kirghizistan è quello che lo stratega inglese Halford Mackinder avrebbe chiamato un perno geopolitico, un territorio che, in virtù delle sue caratteristiche geografiche, occupa una posizione centrale nelle rivalità delle superpotenze.
Il caso di Helen Thomas e la diplomazia di Obama
Eleonora Peruccacci, 18 Giugno 2010
A novant'anni e dopo aver per decenni collaborato con la Casa Bianca, Helen Thomas si è vista costretta a dimettersi dopo le dichiarazioni scottanti che ha rilasciato su Israele. La giornalista ha infatti affermato che gli israeliani stanno occupando illegittimamente il suolo palestinese.
Il capitalismo di Stato italiano: tra il "welfare" e il capitalismo USA
Gianni Duchini, 17 Giugno 2010
Quando uno stato ha interessi nazionali dipendenti da un altro, la propria economia si può salvare soltanto mettendo la politica al posto di comando.
La Russia costruirà una centrale nucleare in Turchia
Vladimir Sotnikov, 16 Giugno 2010
Il primo ministro russo Vladimir Putin si recherà in visita a Istanbul l'8 giugno. Lo scorso maggio il presidente russo D. Medvedev ha firmato uno storico accordo ad Ankara con cui la Russia, nei prossimi sette anni, costruirà la prima centrale nucleare turca.
Iran e Balcani: la Russia rischia di commettere gli stessi errori
Pjotr Iskenderov, 13 giugno 2010
La recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per nuove sanzioni contro l'Iran, è destinata a diventare la peggiore sconfitta subita dalla diplomazia russa negli ultimi anni. Il suo impatto negativo potrà essere persistente e più grave di quella della proclamazione dell'indipendenza del Kosovo.
Perché Russia e Cina hanno votato le sanzioni all'Iràn
Daniele Scalea, 13 Giugno 2010
L'assenso russo e cinese alle nuove sanzioni contro l'Iràn s'inserisce nel complesso ed intricato quadro delle interazioni tra le grandi potenze, un gioco diplomatico che prevede ambiguità ed apparenti voltafaccia. Russia e Cina continueranno ad essere per l'Iràn, se non gli amici più sinceri, di sicuro quelli più utili e potenti.
E tanti altri articoli sono disponibili sul sito.
Le ricordiamo che è attualmente disponibile in libreria l'ultimo numero di "Eurasia" (1/2010) dedicato a La Russia e il mondo multipolare
Buona lettura!
  la Redazione
Pagina principale sito: eurasia-rivista.org

 
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Per le giovani generazioni, per non dimenticare



Durante una ricerca sulla vita del Senatore Paolo Emilio Taviani, eminente comandante partigiano e fra i fondatori della Democrazia Cristiana, ci siamo imbattuti in numerose rico-struzioni biografiche, che possono essere esemplificate dalla seguente scheda, per la quale ringraziamo sentitamente l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia: 
Paolo Emilio Taviani. Nato a Genova il 6 novembre 1912. Nell'università del capoluogo ligure studiò e poi insegnò dalla cattedra di storia delle dottrine economiche (aveva altre tre lauree, oltre a quella di economia: Legge, Scienze sociali e Filosofia). Dal 1931 al 1934 era stato presidente della Fuci, l'organizzazione degli universitari cattolici. Per le sue posi-zioni antifasciste, nel '43 fu posto al confino di polizia. Nell'estate di quell'anno, Taviani organizzò a Genova la fusione tra i Cristiano Sociali e i superstiti del Partito Popolare. Fu tra i fondatori del Cnl di Genova, durante l'occupazione tedesca, e rappresentò le formazioni cattoliche nel-la resistenza. Taviani fu uno dei tre dirigenti dell'insurrezione della città che costrinse alla resa un intero corpo d'armata nazista, prima dell'arrivo degli alleati. Il racconto di quelle giornate dell'aprile del '45 è contenuto nel suo libro Breve storia dell'insurrezione di Genova. Alla fine della guerra Taviani fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana. Fu eletto alla Costituente e da allora è sempre stato in Parlamento. Della Dc Ta-viani è stato prima vice segretario (dal '46 al '48) e poi segretario nazio-nale (dal '48 al '50). Dal giugno del 1950 rappresentò l'Italia ai lavori per la stipula del Piano Schuman; al governo arrivò nel luglio del 1951, come diretto collaboratore di Alcide De Gasperi (fu nominato suo sotto-segretario agli Esteri): per cinque anni, dal '53 al '58, ebbe la responsabi-lità continua del dicastero della Difesa. Fu poi ministro delle Finanze (dal '59 al '60), del Tesoro (dal '60 al '62), dell'Interno (dal '62 al '68), del Mezzogiorno (dal '68 al '72), del Bilancio (dal '72 al '73) e, infine, di nuovo dell'Interno (dal '73 al '74). Taviani ha vissuto dal centro della stanza dei bottoni tutta la storia dell'Italia dei governi centristi, prima, e di centrosinistra, poi. Nel partito della Dc, Taviani, di formazione mode-rata, si collocò sempre in un ruolo centrale, di mediazione. Quanto la Dc affrontò la svolta del centrosinistra, uscì dal gruppo doroteo e promosse la componente dei cosiddetti "pontieri", che aveva l'obiettivo di gettare un ponte fra il centro del partito e le sue componenti di sinistra. I suoi anni al ministero dell'Interno (dal '62 al '68), lo trovarono a dover fron-teggiare le emergenze dell'ordine pubblico legate all'esplodere della con-testazione. L'istituzione delle Regioni, nel '68, fu uno dei suoi successi politici. Finita l'esperienza ministeriale, Taviani fu mandato dal partito al Senato nel 1976. Vice presidente dell'Assemblea, nel '91 fu nominato da Cossiga senatore a vita. L'ultima apparizione pubblica di Taviani risale al 30 aprile 2001, quando presiedette la prima seduta dell'Assemblea di Palazzo Madama della nuova legislatura.

 
Nel leggere con grande interesse questa scheda, non abbiamo potuto fare a meno di notare come, pur nella sua brevità, gli estensori della suddetta avessero mirabilmente ricostruito passo dopo passo la brillante carriera di Taviani; anche se ci pare omettano i fruttuosi suoi contributi agli studi storici dell'età moderna; in particolare ci riferiamo alle sue basilari fatiche sulla vita di Cristoforo Colombo. Tuttavia, abbiamo riscontrato una mancanza maggiormente rilevante, ossia un vuoto, un gap, nella sua biografia di politico e studioso, un periodo, piuttosto lungo, dove non è data alcuna notizia sulla sua attività: ci riferiamo al periodo tra il 1934, anno in cui Taviani è segnalato "presidente della Fuci, l'organizzazione degli universitari cattolici" e il 1943, dove "per le sue posizioni antifasciste" è posto "al confino di polizia"; fatto che non sorprenderebbe, vista la sua luminosa figura di combattente partigiano antifascista, tratteggiata nelle righe della preziosa scheda biografica citata. Rimaneva quindi il problema di quei nove anni, dal 1934 al 1943; ben nove anni della vita di una persona così importante per il destino dell'Italia Repubblicana, nove anni di capitale importanza della Bildung di uno dei nostri cari, amati, padri della Patria, della nostra Repubblica nata dalla Resistenza, con la "R" rigorosamente maiuscola. Ci punse pertanto vaghezza di approfondire l'argomento, ma diverse altre fonti non ci diedero lumi sulla que-stione. Non vi nasconderò che iniziammo, se non a sprofondare nell'angoscia, quantomeno a disperare di giungere a dipanare questo rovello che ci attanagliava. Ma il nostro struggimento, per fortuna, ebbe inaspettatamente sollievo, poiché, qualche tempo dopo, a casa di una nostra cara zia, la quale, parafrasando Longanesi, ci salvò dal nostro cruccio, capitò tra le nostre le mani un curioso libretto, dalla buffa copertina, ritraente una balda figura in orbace, prevedibilmente fregiata con un fascio littorio sul petto, e tuttavia inconsuetamente bardata anche di un vistoso fazzoletto rosso al collo, con tanto di falce e martello, e, cosa ancor più strana, con calcato sulla testa un copricapo da prete, ornato dalla slanciata croce rossa in campo bianco, simbolo della Democrazia Cristiana. Il libro era "Italia fascista in piedi!", di Nino Tripodi, editori Borghese e Ciarrapico, precisamente nella veste della sesta edizione del gennaio 1975. In questo libretto, fortunata circostanza, era citato anche l'oggetto della nostra ricerca, proprio nella quarta di copertina, che qui di seguito riportiamo:

 
Questo libro é la storia dei Littoriali, scritta da un Littore. Ma é, soprattutto, la storia di tutti coloro che ai Littoriali parteciparono, con spirito fascistico, durante il fascismo; per poi rinnegarli con spirito antifascistico, durante l'antifascismo. É, quindi, una specie di "Dizionario delle banderuole", una lista nera degli eterni voltagabbana, che hanno sempre infestato l'Italia, e sempre di più negli ultimi cinquant'anni: eroi del "tengo famiglia", pronti a tutto pur di ottenere tutto; geni dell'"arte di arrangiarsi", campioni del travestimento permanente, capaci di cambiare il doppio petto del borghese con la camicia nera, la camicia nera con quella rossa, quella rossa con la cotta bianca dei chierichetti, pronti naturalmente a trasformarsi in comunistelli di sagrestia, ecc. ecc. Tripodi ha conosciuto tutti questi signori; li ha frequentati, ieri e oggi; li ha riconosciuti, sotto i loro diversi abiti e, ora, in queste pagine li descrive. Sono personaggi che hanno nomi celebri e si chiamano Alfonso Gatto, Alberto Lattuada, Renaro Guttuso, Federico Zardi, Ugo Spirito, Leonida Repaci, Carlo Muscetta, e poi ecco i politici: Luigi Preti, Aldo Moro, Pietro Ingrao, Davide Lajolo, Giuseppe Medici, Paolo Emilio Taviani, Amintore Fanfani, Mario Alicata, Carlo Donat Cattin, e cento e cento altri. Questo libro descrive le loro idee, le loro opere, i loro scritti, durante il fascismo, che hanno cercato di dimenticare e di far dimenticare agli italiani, durante l'antifa-scismo. É, quindi, un libro di memorie destinato a chi non vuol perdere la memoria; un manuale per comprendere, studiando l'ieri, i fatti e misfatti dell'oggi.

 
Incuriositi da tale presentazione iniziammo a compulsare il libro, e, a pagina 169, leggemmo le seguenti righe, apparse nel giugno 1936 su Vita e Pensiero, organo dell'Università Cattolica:

 
"Addis Abeba é italiana! La pace é ristabilita! Vittorio Emanuele III Imperatore d'Etiopia! Il popolo italiano è ancora nell'entusiasmo di queste notizie. Riecheggia ancora il grido commosso del Duce: Viva l'Italia! A questa Italia dalla volontà possente il mondo guarda attonito, perplesso, ammirato. All'esercito vittorioso, alla Maestà Imperiale del Re, al suo Duce, al Maresciallo Badoglio, il popolo italiano ha elevato l'espressione della sua riconoscenza... Anche il nuovo Impero dell'Italia in Africa ha da avere un significato spirituale. Fondato sotto i segni del Littorio esso è l'erede di Roma imperiale; ha dietro a se la più fulgida tradizione della storia, quella in cui s'è innestato il tralcio rinnovatore di Gesù Cristo... L'Italia ha oggi in Africa Orientale non le sue floride colonie, ma il suo Impero, perché attua anche laggiù i principi mussoliniani del "vivere pe-ricolosamente", del "credere, obbedire, combattere"; perché pone sull'Acrocoro, cuore dell'Africa, un segnacolo di quella civiltà che è nella sua essenza positiva, la civiltà cristiana".

 
Con nostro incommensurabile stupore e sbigottimento, rimanemmo allibiti nello scoprire che il passo di cui sopra, glorificante la guerra di conquista e d'aggressione fascista, la prevaricazione e l'oppressione delle minoranze etniche, e l'esecranda figura del Duce, autore della repressione delle libertà civili e poi dissennato artefice delle indicibili leggi razziali e della criminale alleanza con il delinquenziale nazismo, non era stato un volgare Farinacci, un servile Starace, o un golpista Junio Valerio Borghese qualsiasi, ma proprio il nostro eminentissimo Paolo Emilio Taviani, solo qualche anno dopo invitto comandante partigiano, colui che sconfisse, con ardito colpo di mano, nel breve volgere di un meriggio, un "intero corpo d'armata nazista", colui che fondò l'Italia Repubblicana assieme a uomini come Pietro Ingrao, Aldo Moro, Amintore Fanfani… peraltro svelati anche essi nell'agile libretto sopraccitato come puntuali autori di lirici testi inneggianti al Duce, all'Impero, al Fascismo e alle sue politiche sociali, alle sue guerre, e alle sue mirabili sorti. Ohibò, che sorprese invero riserva la vita! Ma troppo sto facendo attendere i miei men che venticinque lettori. Nelle pagine seguenti troverete i passi colti dal libro del Tripodi riguardanti l'entusiastica partecipazione del nostro Taviani alla vita culturale del ventennio fascista, partecipazione collocata cronologicamente proprio dal 1934 al 1943, e omessa o minimizzata nelle sue biografie, ovvero elegie. Certi di fare cosa gradita al let-tore, li facciamo precedere dall'introduzione dell'autore, e seguire dalle pagine del libro "Italia fascista in piedi!", recentemente ripubblicato da Edizioni Settimo Sigillo di Roma, dedicate agli scritti fascistissimi di politici quali Fanfani e Moro e letterati del calibro di Bocca, Quasimodo, e Ungaretti, e, infine, diamo anche un rapido sguardo alle recenti polemiche giornalistiche concernenti i camerati Bobbio, Fo, Biagi, e Einaudi. Facciamo ciò mossi esclusivamente dallo spirito di equità nei confronti del compianto Taviani, a dimostrazione che fu certamente in buona compagnia nel tessere sperticatamente le lodi del mai abbastanza vituperato fascismo.
Buona lettura!

 

 
INTRODVZIONE

 
PRECISIAMO LE COSE

 
Per quanto la letteratura politica, che dal 1945 viene ai nostri giorni, sia ricchissima di "memorie", le mie non hanno con esse nulla da dividere. Ammetto che l'espediente memorialistico sia soltanto una chiave. In realtà questo libro ha un sommesso proposito, ma non é storico e nemmeno é morale. Non voglio assicurare ai secoli, attraverso il ricordo, un bel nulla. Nella storiografia non esiste "il modo di vedere come sono andate le cose" auspicato dal Ranke. La storia é sempre e soltanto epopea, cioè proiezione del mito politico in cui lo storico crede, o che subisce. Perciò a nulla vale denunciare alla storia che nel giro di un biennio, tra il 1943 e il '45, gli italiani mutarono convincimento come si muta piatto tra un cibo e l'altro. La storia é sorda. Dice sempre di sì. Se é scritta dalla mia parte, lo sa già, e condanna il fenomeno come versipellismo, infedeltà, defezione. Se é scritta dagli altri, lo sa lo stesso, ma lo esalta come superamento dell'errore e liberazione dal peccato. Sì, mi consta che agli storici di parte avversa i "duri" della mia parte usino fare questo ragionamento: non basta che i ravveduti Fanfani o i pentiti Lajolo accettino di avere creduto nel fascismo, ma di essersene staccati per il crimine della guerra o per l'ineluttabile sipario calato sul successivo crollo del regime. E non basta non perché essi continuarono a credere o a dir di credere anche dopo la proclamazione della guerra, e quasi sino ai margini del 25 luglio, e qualcuno anche dopo, abiurando solo quando la sconfitta apparve certa, ma perché, oltre alla professata fede nel fascismo, affermarono e scrissero di ripudiare come inetta la democrazia e come falso il comunismo. Costoro pertanto non sfuggirebbero ad una duplice confusione. La prima, avendo efficacia temporale e cioè l'abiura del fascismo sconfitto e finito, potrebbe essere umanamente compresa, pure ammonendo che é lecito dire "basta", ma é ridicolo dire "abbasso", dato che il vilipendio coinvolge anche gli scritti, i fatti e i propositi di questi ex fascisti. Ma la seconda, e cioè l'adozione e l'esaltazione della democrazia o del comunismo, non può passare. Essa é paradossale in termini teorici, in quanto comporta la sconfessione della loro costruzione mentale e l'assurdità del nuovo sistema politico prescelto, ma tratto da quei due miti che essi stessi avevano denunciato erronei. Ed é involutiva in termini pratici, in quanto l'accettazione del sistema politico del vincitore, addotta o perché inevitabile, o grazie al cinico dogma che in politica chi vince ha ragione, non evita il dilemma. A vincere furono due mondi ideologicamente contrapposti, il democratico e il comunista: chi dei due é nel giusto, se é la vittoria a commisurare la giustizia dei governi? I "duri" della mia parte seguitano a polemizzare ancora: voi, vecchi fascisti divenuti antifascisti, adducete a discarico che il concorso dato alla "resistenza" sia il vostro lavacro purificatore. Combattendo in qualità di "part-giani" vi sareste redenti da tutti gli errori, sia da quelli fatti sostenendo il fascismo, sia dagli altri commessi denegando la democrazia. Ma questo non é un ragionamento; tutto al più é una mistica, la quale conta soltanto per chi la professa. In linea di pensiero é un'allucinata castroneria. E se fosse un ragionamento? Fuori allora i vostri certificati di combattimento. Non venite a dirci che combattevate lungo i placidi laghi svizzeri o a Bari. Quando un grande peccatore vuole espiare, cattolicamente, piglia il saio e cerca il luogo di purgazione in Cina, ai tropici, o si macera in un rigido ascetismo. Non si limita a chiedere ospitalità nei conventi. Si fa insomma anacoreta, o parte per le missioni. Non si fa terziario francescano. Voi non siete che terziari partigiani. Anzi non siete che furbi marinai, con le mani pronte alle vele da orzare col vento. E non consta che i partigiani abbiano "resistito" anche sulle barche. Debbo, mio malgrado, accantonare queste argomentazioni. Esse sconfinano nel precetto morale, e ho detto che il mio libro non solleva censure. Se c'é un antico romano che mi dà fastidio é Catone. Anche perché, se le accettassi, dovrei concludere che, difettando la coscienza e la logica nelle conversioni e nelle scelte fatte tra il '43 e il '45 dai Moro e dai Fortunati, dai Preti e dai Fanfani, dai Vigorelli e dai Del Bo, dai Chilanti e dai Corona, al fondo non resta che il profitto politico e pratico. Di fronte ad esso, l'unica conclusione valida dovrebbe esser quella dell'onesto scrittore antifascista Piero Operti: "Le conversioni in senso vantaggioso sono sospettabili, salvo il caso in cui il convertito, riconoscendo di essersi sbagliato una volta e quindi di potersi sbagliare anche ora, si chiudesse per il resto della vita nel silenzio". Qui tutti hanno sbagliato, e non una volta ma tre, cioè esaltando il fascismo, ripudiando democrazia e socialcomunismo, adottando poi l'una o l'altro. Eppure seguitano a parlare come se nulla fosse. E gli italiani li stanno a sentire e ne applaudono, come nel Rinascimento, la "doppia verità". La morale é dunque come la storia. Dice sempre di sì. Accantoniamola. Però il libro, se non ha una tesi morale, e nemmeno storica, potrebbe avere, come abbiamo detto, una riserva politica. Che é questa: ha il diritto di contestare a me; o a tantissimi altri italiani, l'aver detto, scritto, pensato o fatto certe "cosacce", chi le ha dette, scritte, pensate o fatte come noi e più ancora di noi? "Cosacce" fasciste, s'intende. Mi pare che la recrudescenza attuale dell'antifascismo, superato il periodo virulento e irrazionale della guerra civile, sia artificiosa. Mira soltanto a scopi occasionali. É lotta di un partito contro un altro. In termini ideologici é stravagante. Democristiani, comunisti, socialisti, socialdemocratici, liberali, repubblicani, monarchici, possono sostenere il superamento del loro fascismo di ieri, ma, poiché i loro partiti rigurgitano di ex fascisti, non possono dare l'ostracismo ad altri gruppi politici che ne hanno quanti essi ne hanno. Il lettore lamenterà che quest'intento è troppo legato alle labili circostanze del momento (1), e perciò non legittima il libro. Vorrei rispondergli che, purtroppo, non sappiamo più a quali cose durevoli affidarci. Si vive alla giornata. Ci si difende dalla cronaca. L'alta storia non la governa più nessuno. Comunque: habent sua fata libelli. Se poi, ed escludo che lo meritino, i capitoli che seguono dovessero lo stesso guadagnare credito e interesse al di là della congiuntura, e le cose narrate mutarsi in materia, quando che sia, di critica al costume dei tempi nostri, allora il lettore non mandi immune da pecche nemmeno me. Anch'io talvolta "dissi male di Garibaldi", seppure con l'attenuante d'essere rimasto sempre coi garibaldini (2).

 

 
(1) Probabilmente Tripodi, che manda alle stampe la prima edizione del libro nel settembre 1960, si riferisce alla situazione del MSI dopo i disordini di Genova del luglio 1960; sino ad allora l'MSI aveva avuto un ruolo di rilievo nella politica italiana, fornendo voti importanti ai governi precedenti. Ma, come scrive Domenico Mennitti in N. Rao, La fiamma e la celtica, Milano, 2006, pp. 88-90: Il vero isolamento nasce dopo i fatti di Genova, quando la Dc, avendo deciso di spostarsi a sinistra, non vuole avere nessun concorrente nel suo bacino elettorale, tanto meno un pericoloso concorrente come un partito democratico di destra. Di qui l'esigenza di introdurre elementi come l'antifascismo, l'arco costituzionae, eccetera.
(2) N. Tripodi, Italia fascista in piedi!, Milano, 1975, pp. 9-12.

 

 

 
CAMERATA PAOLO EMILIO TAVIANI
PRESENTE!

 
TAVIANI D'ACCORDO CON LA MALFA

 
Nel 1935 i convegni più animati furono naturalmente quelli politici, dalla dottrina del fascismo all'economia corporativa, alla politica estera, all'organizzazione politica, al giornalismo. Il 28 aprile, il Messaggero scrisse: "Il fascismo come dottrina e come fede ha trionfato come bene comune e senza ombra di retorica. Dei vari convegni alcuni hanno avuto maggiore fortuna o successo di altri che, forse per colpa dell'argomento o per scarsezza di partecipazione, sono stati seguiti con minore attenzione. Anche se talvolta i frutti da essi dati sono stati abbondanti. Notevoli per la vivacità e l'utilità del dibattito i Convegni di Studi corporativi e di dottrina generale del fascio. Questi sono stati i più interessanti anche perché, al di sopra di tutti gli schemi teorici presentati, hanno dato modo di constatare nei giovani una praticità costruttiva grandissima; moltissimi hanno fondato le loro idee sulla vera realtà economica e politica della Nazione italiana. Al convegno di politica estera e coloniale l'analisi precisa delle possibilità internazionali dell'Italia si è svolta con carattere di molta serietà e disciplina per merito anche della commissione giudicatrice". Era il convegno tanto lodato l'anno prima per la sua ortodossia fascista dal futuro ministro [della Democrazia Cristiana, NdC] Bosco: evidentemente i giovani si erano messi con impegno sulla strada totalitaria da lui raccomandata. Gli altri due convegni di struttura erano quelli di studi corporativi e di dottrina fascista […] quell'anno il camerata Moro non aveva osato affrontarli, preferendo un temuccio secondario e stitico. Più coraggio aveva avuto il futuro ministro e segretario nazionale della DC, Paolo Emilio Taviani, il quale, con l'esperienza tratta dalla partecipazione fiorentina dell'anno precedente, si era iscritto a tutti e due i convegni: quello corporativo e l'altro di dottrina del fascismo. O la va o la spacca. Ricordo Taviani perché il suo nome precedeva il mio nell'elenco dei presenti al convegno sul tema: "Caratteri generali dell'economia corporativa fascista". Quell'anno egli partecipava non più col GUF di Genova, ma con quello di Pisa. Era stato infatti ammesso, come "convittore a posto gratuito", alla frequenza del Collegio Mussolini, annesso alla R. Scuola Normale Superiore della città. Nel Collegio, al quale tenevano moltissimo tanto Gentile quanto Bottai, si allevavano le più promettenti giovinezze rivoluzionarie. Gli allievi migliori erano mantenuti a spese del regime. Vi si accedeva superando un concorso bandito ogni anno da Giovanni Gentile, e limi-tato ai più prestanti elementi delle organizzazioni del Littorio. "In questa Scuola", scriveva il direttore di uno dei corsi, cioè Widar Cesarini Sforza, insigne studioso, "non solo i giovani arricchiscono la loro preparazione giuridico-economica ma partecipano anch'essi, con fresche energie alla elaborazione e sistemazione delle nuove dottrine. Il Collegio Mussolini, sorto nel 1931, offre agli studenti e ai laureati che hanno il privilegio di appartenervi, speciali e forti incentivi allo studio, molteplici opportunità di lavoro e soprattutto un ambiente ne quale si contemperano il raccoglimento propizio alla maturazione delle idee e la vivace adesione ai problemi politico-sociali della rivoluzione fascista". Tra cotesti fertili solchi littori, la democrazia cristiana allevò, lungo gli anni Trenta, oltre al ministro Paolo Emilio Taviani, anche il ministro Mario Ferrari-Aggradi. Il partito socialista non mancò di educarvi alcuni dei suoi migliori, e in particolare l'onorevole Achille Corona, futuro ministro del turismo e dello spettacolo. Potremmo continuare l'elenco anche per i liberali e altri coerenti partiti dell'Italia antifascista, ma ciò ci porterebbe su altre vie. Nel convegno di economia corporativa eravamo divisi in due gruppi, gli oltranzisti e i conservatori. Riflettevamo così le tendenze della commissione che andava da Bruno Biagi ad Ugo Spirito, cioè da un metodico difensore delle norme corporative codificate al rivoluzionario filosofo della "corporazione integrale". Si discusse col sangue agli occhi. Io, con Volpe di Salerno, Martignetti di Roma e pochissimi altri eravamo per l'evoluzione dell'ordinamento sociale sino a fare assorbire il sindacato dalla corporazione. Gli altri, tra cui Taviani e il raziocinante Pietro Ferraro di Padova, che fu littore e che incontreremo ancora, erano per la coesistenza tra sindacato e corporazione. Un altro punto controverso verteva sul cosiddetto "salario corporativo". I primi lo tiravano sino alla compartecipazione agli utili, i secondi pretendevano il rispetto del suo carattere retributivo. La disputa appassionerà la giovane generazione fascista fino all'epilogo del regime. Pensate che tra il 1942 e il 1943 seguitava ad occuparsene, sulla rivista La Terra, il poi ministro della difesa e presidente del Consiglio Giulio Andreotti (per la verità la rivista lo qualificava semplicemente "il camerata Andreotti"), in uno degli acuti articoli con i quali seguiva ed illustrava gli avvenimenti di quest'ultimo scorcio del Ventennio. Da parte nostra si polemizzava tenendo come breviario il recente libro di Spirito, Capitalismo e Corporativismo, elettrizzante saggio che, a radicarcisi, non poteva portare che alle mete politiche oggi attinte dall'autore. Gli altri ci sbattevano in faccia il numero della rivista "Nuovi studi di diritto, economia e politica," che lo stesso Spirito dirigeva con Arnaldo Volpicelli. Vi era pubblicato un loico saggio dell'attuale segretario del partito repubblicano Ugo La Malfa (non se ne salva uno dal compromesso col Ventennio!), contrario a quel libro di Spirito. L'onorevole La Malfa, prendendo lo spunto dalla identificazione spiritiana tra individuo e Stato, riteneva che essa adulterasse il fatto economico risolvendolo in storia e politica e contrastasse le conclusioni del Convegno di Ferrara. La Malfa allora parlava un linguaggio spiccatamente liberale, opposto a quello parasocialista di adesso. Adesso é lui che dice le cose che allora contestava al professore Ugo Spirito perché erronee e caduche. Il solito imbroglio dei tempi. Bisognava riprendere e conciliare la dialettica degli opposti, il che fece abilmente il ministro Rossoni, presidente della Commissione. Egli, inseritosi nel dibattito, risalì alle direttive generali del fascismo, sorgenti dalla dichiarazione del Duce sul corporativismo come realizzazione di una più alta giustizia sociale, e, dando un colpo al cerchio e uno alla botte concluse che Taviani e Tripodi erano in fondo tutt'e due sul binario della Rivoluzione. Ma credo lo fosse di più Taviani, almeno sul piano teoretico, tant'è che, qualche mese dopo, come può leggersi sull'Annuario dell'Università di Pisa conseguì col massimo dei voti il diploma di perfezionamento in Scienze corporative fasciste. Io, no (1).

 

 
LA RESISTENZA DELLA PRIMA ORA

 
Questo il clima nel quale ebbe inizio l'ultima e malinconica manifestazione dei littoriali della cultura. Malinconica perché molti di noi se n'erano un po' stancati o staccati. De Marzio era passato a fare in permanenza il commissario, io giravo ozioso a curiosare tra i convegni, Gianni Roberti non s'era piú visto, Almirante si occupava di altre cose. Coloro che non se n'erano stufati, che si trovavano a loro agio nella più tipica oleografia fascista, che rincorrevano ancora l'agognato titolo di littore, coloro che "resistevano", erano i camerati che oggi fanno i giornalisti o i capipartito a difesa del fuoco sacro dell'antifascismo e dell'altra "Resistenza", da Ferrari-Aggradi ad Antonello Trombadori ad Aurelio Roncaglia. In tutti costoro non vibrava peró solo il pensiero impotente di Amleto. In essi era l'azione, era la vita nei GUF, la continua collaborazione a giornali e riviste del regime, era la volontà goethiana di Faust di rifarsi ogni anno più giovani e fascisti nel lavacro dei littoriali. Quel crepitio di mitragliatrici, quello spirito combattentistico che permeava i temi di tutti i convegni, quel parlare di guerra ad ogni momento, richiamarono a Bologna il Paolo Emilio Taviani; fu forse in quell'occasione che sbocciò in lui il germe del futuro ministro democristiano delle forze armate. Era da sette lunghi anni, era dal 1935, che Taviani insisteva di convegno in convegno sul corporativismo fascista. Lo scorsi negli androni del palazzo della provincia, in via Zamboni 13, tra un drappello di camicie nere liguri. Concorreva di nuovo col GUF di Genova. Il tema in discussione era: "1'economia corporativa e la guerra". Argomento scottante. Gli aspetti di esso, e sui quali gli universitari fascisti furono chiamati a misurarsi, da Enzo Pezzato che fu proclamato littore e che morirà fucilato dai partigiani pochi anni dopo, a Taviani che si classificò nono, e si troverà coi partigiani contro i camerati di Pezzato, riflettevano l'autarchia, la guerra economica, i bisogni di guerra e i bisogni di pace, la restrizione dei consumi, l'accumulo dei mezzi di potenza, le corporazioni come organi unitari del comando economico. A classifiche pubblicate, oh quanto mi rammaricai allora e quanto sinceramente mi rammarico adesso di non aver trovato Taviani littore! Se lo meritava, dopo tanta insistenza non soltanto ai Littoriali, ma anche nei segnalati articoli e saggi sul regime corporativo fascista apparsi in quegli anni a sua firma, e che ritrovo in alcuni numeri della rassegna Vita e Pensiero, organo dell'Università Cattolica. Ricordo il saggio dell'agosto 1935 intitolato "I conflitti del lavoro e il regime corporativo", nel quale sosteneva il buon diritto della società di stroncare le controversie collettive del lavoro e di adottare sanzioni legali contro gli scioperi e le serrate al fine di "toglier via la possibilità di trasformare le na-turali divergenze di interessi egoistici in lotte perniciose alla produzione e allo Stato". Commendevoli concetti che il giovane Taviani traduceva nel 1936 in altri studi, come "Rilievi sul salario corporativo", e persino in un saggio di sociologia comparata esteso al regime hitleriano: "Come il nazionalsocialismo risolve il problema classista" (2). Né mancava nel suo repertorio l'esultanza per la conquista dell'Impero. Sono sue queste frasi tratte da un lungo articolo del giugno 1936 su Vita e Pensiero: "Addis Abeba é italiana! La pace é ristabilita! Vittorio Emanuele III Imperatore d'Etiopia! Il popolo italiano è ancora nell'entusiasmo di queste notizie. Riecheggia ancora il grido commosso del Duce: Viva l'Italia! A questa Italia dalla volontà possente il mondo guarda attonito, perplesso, ammirato. All'esercito vittorioso, alla Maestà Imperiale del Re, al suo Duce, al Maresciallo Badoglio, il popolo italiano ha elevato l'espressione della sua riconoscenza... Anche il nuovo Impero dell'Italia in Africa ha da avere un significato spirituale. Fondato sotto i segni del Littorio esso è l'erede di Roma imperiale; ha dietro a se la più fulgida tradizione della storia, quella in cui s'è innestato il tralcio rinnovatore di Gesù Cristo... L'Italia ha oggi in Africa Orientale non le sue floride colonie, ma il suo Impero, perché attua anche laggiù i principi mussoliniani del "vivere pericolosamente", del "credere, obbedire, combattere"; perché pone sull'Acrocoro, cuore dell'Africa, un segnacolo di quella civiltà che è nella sua essenza positiva, la civiltà cristiana" (3). Caro e buon Taviani! Ecco perché mi dispiacque, in quella manifestazione finale, dopo tante pagine spese per esaltare il fascismo, dopo tanti scrupolosi studi condotti al Collegio Mussolini di Pisa e alla Cattolica di Milano per realizzare il suo sogno cesaropapista, per vedere coniugati l'aspersorio e il manganello, saperlo ammesso ancora una volta in graduatoria nazionale, ma al nono posto, e non risultare così littore. Ci aveva puntato sopra per sette lunghissimi anni. Ma ormai era finita. Non gli restava che cambiare bandiera (4).

 

 
(1) N. Tripodi, op. cit., pp. 57-61
(2) L'estensore di un agiografico sito internet su Taviani, oltre − ovviamente − a non segnalare gli scritti più apologetici del defunto Senatore genovese, oppure a non commentarli, superando di gran lunga non solo la soglia dell'estrema scorrettezza storiografica e della disonestà intellettuale, ma anche della decenza, postula come quest'ultimo saggio sia una "Critica − assai pesante nelle pagine conclusive − del sistema economico-sociale nazionalsocialista, definito un gigante con un'anima di pigmeo". Non avrebbe dovuto essere difficile comprendere che, se Taviani stroncava le soluzioni nazionalsocialiste al "problema classista", era semplicemente per far rifulgere maggiormente la soluzioni del regime fascista del quale era, ancora per il momento, sfavillante cantore e interessato laudatore.
(3) Lucia Ceci, in un interessante saggio apparso su "Italia Contemporanea" del dicembre 2003, nel quale peraltro "Vita e Pensiero", dove fiorirono numerosi scritti di Taviani, è definita una delle riviste "clerico-fasciste o molto vicine al regime", riporta:

 
Insomma per gran parte dell'episcopato la "vera guerra", "ingiusta, incivile, insensata", era quella aperta dalla Società delle nazioni, vale a dire dai paesi protestanti, mediante le sanzioni, mentre l'esperienza coloniale italiana, come affermava monsignor Giuseppe Lojacono, non poteva a rigore neanche essere considerata una guerra, in ragione del fatto che essa aveva "lo scopo di aprire le porte dell'Etiopia alla Fede Cattolica e alla civiltà di Roma". L'accentuazione delle potenzialità missionarie della guerra coloniale di Etiopia si ritrova anche sulla stampa cattolica. E non solo in riviste clerico-fasciste o molto vicine al regime, come "Il Frontespizio", "Vita e Pensiero", "La Rivista del clero italiano", o in riviste missionarie come "Le Missioni illustrate", "Le Missioni domenicane", "Il Massaia", nelle quali ultime l'entusiastica esaltazione delle prospettive di diffusione del cattolicesimo aperte dalla conquista italiana sembrava escludere a priori la necessità di una valutazione circa la legittimità morale di tale conquista.

 
(4) N. Tripodi, op. cit., pp. 167-170

 
CAMERATA AMINTORE FANFANI
PRESENTE!

 
FANFANI ERVDISCE IL PUPO

 
Poiché Taviani apparteneva all'ala clerico-fascista dei littoriali, pensiamo se ne sia allora rammaricato anche quel solerte ometto del professor Amintore Fanfani che in tutti quegli anni si era più volte prodigato per spiegare le dottrine economiche e sociali del fascismo ai giovani, tanto più che tra di essi c'erano due, giustappunto Paolo Emilio Taviani ed Aldo Moro, che in seguito avrebbero dovuto spartire con lui il privilegio di assumere l'alto incarico di segretari nazionali della Democrazia cristiana. Tanto più ancora che il secondo, al par di lui, si sarebbe fatto paladino meticoloso ed austero di preclusioni antifasciste. Come non assicurare al curriculum vitae di queste glandole sebacee della democrazia il titolo di littori di Mussolini? Il senatore Fanfani, infatti, non aveva fermato la sua opera di educatore fascista agli studi corporativi ed al-e esaltazioni degli anni fausti e coevi alla fondazione dell'Impero. É comprensibile che, in quel 1936 avaro di teoriche sistematiche, ma prodigo di speranze sistemative, egli avesse anche pubblicato per l'Istituto coloniale fascista di Milano un saggio dal titolo Cin-quant'anni di preparazione all'Impero, per proclamare che a Mussolini spettava "la preveggente preparazione di forze nuove per superare la politica del piede di casa", e per lanciare la Nazione sulla via di un progresso con molte avventure. Però due anni dopo, nel luglio 1938, gli orizzonti ingrigiscono. Dieci docenti universitari stilano un terribile documento. Il regime vi fonda sopra la politica razziale ed antiebraica. Ci siamo. Che cosa fa il professore Fanfani? Protesta? O, come scrisse, offendendolo per il grossolano mendacio, Nicola Adelfi all'Europeo del 24 gennaio 1954, "resta attivo e vigile, solo per fare al regime tutto il male che gli é possibile"? Lo vedremo. Ancora un altro biennio e, nel giugno 1940, Mussolini apre il balcone di Palazzo Venezia e proclama la guerra alle Grandi Democrazie. Come si regola il senatore Fanfani? La dichiara antipopolare? perduta in partenza? bieca e dittatoriale? Raccontiamo una vicenduola che, nonostante sembri all'inizio non commendevole per lui, conclude poi con lo sconfessare chi cerchi portargli via i meriti littori acquisiti in quegli storici avvenimenti.

 
VN LIBRO TOLTO DI MEZZO

 
A metà luglio 1953, l'Unità, dimentica dei pedaggi pagati al regime dai numerosissimi suoi parlamentari e dirigenti comunisti, pubblicò un pesante articolo rivelatore delle attività fasciste dell'onorevole Fanfani. Il Fanfani, che allora era ministro dell'interno, il 24 luglio indirizzò una fiera lettera alla direzione del quotidiano del PCI per smentire alcune banali circostanze littorie di cui era stato detto protagonista: esse, in verità, nulla toglievano e nulla aggiungevano alle sue benemerenze nel Ventennio. Le smentite furono otto. L'ottava testualmente diceva: "I passi riprodotti in fac-simile nel suddetto articolo dell'Unità, relativi alla politica razziale e al partito nazionale fascista non sono miei, ma di C. Marzorati, come è indicato all'inizio della parte quinta del volume sul Significato del corporativismo". L'Unità, nonostante la diffida ai sensi dell'articolo 8 della legge sulla stampa, non pubblicò la lettera. Essa apparve però su altri giornali. Io ne ho copia sul Tempo del 28 luglio 1953. Confesso che, per molti anni, trascurai di arricchire la mia conoscenza del Ventennio con le nozioni del libro indicato in quell'ottava smentita. Poiché ad apprendere c'è sempre tempo, nell'aprile del 1960 lo chiesi alla biblioteca della Camera dei deputati. Presentata allo sportello la schedina, attesi un buon quarto d'ora che il commesso portasse il volume. Ma il commesso torna e dice che è in prestito dal 1953. Non volendomi privare del disinteressato godimento intellettuale, insisto per la ricerca della scheda del prestito, al fine di conoscere il parlamentare che aveva prelevato il libro sette anni prima e non l'aveva restituito: unico modo per sollecitarne la riconsegna. L'addetto fruga le più vecchie schede. E spunta fuori quella in questione. É datata 23 luglio 1953, ed è firmata: Amintore Fanfani. Gesù! Il libro se l'era preso lui, e l'aveva tolto dalla circolazione proprio il giorno prima di quel 24 luglio in cui spediva la lettera di fiera e reticente protesta all'organo comunista. Ebbi il torto di incaponirmi. Il 30 aprile 1960 scrissi al direttore della biblioteca della Camera esponendo brevemente la situazione e concludendo: "Poiché i sette anni trascorsi dal prestito avranno certamente esaudito le esigenze di compulsazione della sua medesima pubblicazione, la prego di invitare l'onorevole Fanfani a restituirla a questa biblioteca per poterne anch'io prendere visione. Mi permetto raccomandarle l'urgenza". Passati più di quindici giorni il libro ancora non si vedeva, ed io restavo privo di tanto pane spirituale. Finalmente, per assaporarlo, me lo sono dovuto andare a cercare per le città italiane. E in una di esse l'ho trovato. Il Presidente del Consiglio allora in carica meritava la mia attenzione.

 
VN ALIBI INEFFICACE

 
Fanfani aveva ragione. La parte quinta di questo suo libro edito a Como nel 1941, a guerra scoppiata, a politica razziale consumata, ad alleanza nazifascista consolidata, col suggestivo titolo "Il significato del corporativismo", testo ad uso dei licei e degli istituti magistrali, reca effettivamente, a fondo pagina, una esile noterella con la precisazione che "questa parte é del professor Carlo Marzorati del Liceo scientifico Gonzaga di Milano". Questa quinta parte é micidiale. Concerne la dottrina fascista e l'ordinamento costituzionale dello Stato. Lo Stato vi é lodato nelle sue più pesantí attribuzioni autoritarie, con esplicita sconfessione del dogma della sovranitá popolare. La dottrina vi é imperniata sulla soluzione del "problema della difesa della Razza come necessità biologica e come fatto spirituale di fronte all'urgente necessità di distruggere quel fenomeno dell'ebreizzazione che dall'unità d'Italia in poi dilagò in tutti i campi della cultura, della economia, della politica". Spietate, paurose cose, da legarsele al dito. Ora non sta a me biasimare l'onorevole Fanfani, mio non dimenticato maestro dei littoriali, per avere, nel 1953, ripudiato e gettato nelle spire della legislazione retroattiva contro il fascismo il suo ex collaboratore Marzorati. In queste pagine non ho problemi morali da risolvere. Ma in sede politica non posso non dirgli quanto inutile sia stata la sua fuga, con abbandono dell'amico al nemico. Prima delle pagine sti-ate dal Marzorati nella quinta ed ultima parte del libro (e il cui avallo, in tutti i casi, spetta di pieno diritto al Fanfani giacché il frontespizio reca soltanto il suo sonante nome e cognome), ce ne sono ben ottantacinque esclusivamente dovute alla sua penna insigne, e collaudanti le successive. A pagina 43, capitolo terzo, il Nostro, dopo avere precisato che "il sistema corporativo è un complesso di mezzi al servizio della Nazione italiana per raggiungere il più alto sviluppo politico ed economico", ed, ancora, che "il si-stema corporativo fascista vuole operare nella storia, risolvere problemi concreti, poggiare saldamente il piede sul terreno della realtà", esalta "i legami che vincolano virtù civica, valore militare, sanità di razza, sentimento religioso, amor di patria", alla popolazione rurale, cioè alla parte più nobile di nostra gente, onorata "dall'affermazione del Duce che bisogna ruralizzare l'Italia anche se occorrono miliardi e mezzo secolo". L'elogiativo richiamo alle impostazioni razziali della politica fascista é esplicito. Dietro di esso fece bene a incamminarsi, poche pagine dopo, con l'obbedienza di un allievo al maestro, il povero Marzorati. Era dunque inutile sacrificarlo additandolo allo sprezzo dell'antifascismo, e sbarazzandosene come di peso estraneo ed incomodo. Questo conturbante libro apologetico dell'antifascista Fanfani, scritto senza riserve, senza doppi sensi, senza avarizia di citazioni mussoliniane, le cui edizioni si sono succedute dal 1936 al 1941 dandogli, mercé la vendita nelle scuole italiane, proventi economici doviziosi (ecco un mancato processo per profitti di regime, ecco un'omessa dichiarazione di invalidità elettiva a deputato per avere l'autore pubblicato libri di testo sul fascismo) é, anche nella preminente parte stilata dal grande aretino, uno dei libri che arricchiscono la bibliografia sul Ventennio, e ne puntellano i suffragi autoritari e totalitari alla concezione dello Stato. Bisogna dare atto che, quando Fanfani scriveva, non erano frivole cianfrusaglie le sue. I suoi libri, le sue monografie, i suoi articoli fascisti i-spiravano piena fiducia per quella essenzialità contenutistica che dogmaticamente li caratterizzava. Scriveva allora come adesso parla: il messia. Perciò l'integrazione finale del Marzorati era nel libro in esame solo cosa accessoria. Non rappresentava che l'applicazione istituzionale dei principi già tracciati dal maestro. D'altra parte, solo ciò spiega perché questi abbia tolto di mezzo il volume dalla più grande biblioteca politica della capitale alla vigilia di iniziare la sua polemica con l'Unità nel 1953, e si sia poi "dimenticato" di restituirlo.

 
IL CORPO DEL REATO

 
Il libro, scritto da Fanfani per le scuole medie italiane, inizia con un poderoso colpo di maglio al liberalismo e al socialismo che difendono il singolo e il collettivo, mentre "il fascismo difende innanzi tutto, e come supremo, l'interesse della Nazione", di cui tutore e difensore é lo Stato. E lo Stato "sotto il fascismo non deprime l'individuo, ma richiede, tutela, controlla e dirige la sua libera e responsabile collaborazione al raggiungimento dei fini comuni", introducendo i singoli nella sua cittadella come i migliori alleati. L'autore conforta questi sagaci brani col pensiero del dittatore, chiamato quasi sempre il Duce, anziché, semplicemente, Mussolini. "Tutto ciò significa", continua la camicia nera Fanfani, "che nel sistema sociale fascista é negato l'individualismo, non l'individuo, e a questo individuo si lascia la gioia, l'onore, la responsabilità di collaborare liberamente al raggiungimento della potenza della Nazione italiana." Dunque, la dittatura non era dittatura se lasciava integra la più sana libertà. É colui che si avvia a diventare uno dei più prestigiosi nomi della Democrazia Cristiana che, a meno di un anno dal 25 luglio, ancora lo insegna dalla cattedra a migliaia di allievi italiani. Sorvoliamo sulla scomunica lanciata a pagina 14 contro lo sciopero "tipico strumento di lotta del socialismo", che bene ha fatto il fascismo "a far diventare reato contro la pubblica economia". Sorvoliamo sul tenero paragrafino concernente la giustizia sociale al cui raggiungimento "il Duce più volte ha affermato che lo Stato corporativo mira come ad una nobile e necessaria meta" (qui la proluvie delle citazioni di scritti e discorsi mussoliniani si spreca). Sorvoliamo sulla successiva apofogia della terrea catena dei controlli economici che il sistema giuridico fascista instaura, giacché "non basta purtroppo educare l'uomo, ma occorre aiutarlo e vigilarlo dopo averlo educato, con la serie numerosa degli istituti che garantiscono la continuità degli atti economici conformi ai fini corporativi ed impediscono l'introdursi nell'interno dell'ordine corporativo di atti contrari a quei fini"; istituti raggruppati in tre categorie, quella politica cui appartiene il PNF, quella sindacale cui appartengono le associazioni di categoria, quella corporativa che inquadra gli enti corporativi. Con questa vantata catena l'individuo è imbarcato e bell'e cotto entro la caldaia totalitaria dell'economia corporativa e del partito unico. Fanfani soffia sul fuoco e porta legna da ardere. Sorvoliamo sugli esaltati diritti del governo "di sottoporre ad autorizzazione i nuovi impianti industriali", e sugli ampi riferimenti agli scopi della legge secondo l'illustrazione fattane alla Camera dal sottosegretario alle corporazioni, allora in carica, onorevole Alberto Asquini, alla cui successione il futuro segretario nazionale della DC aspira in cuor suo. Sorvoliamo sulle pagine autarchiche. Per il Fanfani del 1941 l'economia non é che un mezzo al servizio della politica (confronta pagina 61), e non può che tendere all'autonomia produttiva della Nazione. Chiudiamo con l'elogio degli istituti fascisti che operano nel campo della distribuzione della ricchezza, tra i quali il Nostro meritatamente cita e celebra il "provento dell'imposta sui celibi". Essa faceva tanto fascista.

 
FANFANI PREDICE IL DOPOGVERRA

 
Non si dica che questo era l'occhio scientifico dello studioso Fanfani, sensibilizzato da un fenomeno istituzionale comunque esistente. Non si lasci cioè sottointendere che il Fanfani politico pensasse diversamente, e cospirasse intanto contro il regime. Chi lo dice, legga un opuscolo che manca anche esso nella biblioteca del-a Camera dei deputati, ma che esiste nella biblioteca nazionale di Firenze. Ha per titolo "Progetti e speranze per il dopoguerra," é del novembre 1940 ed é pubblicato come estratto della Rivista Internazionale di Scienze Sociali. Una pillola per squisiti palati. Con essa il Fanfani cura le ansie di quanti si preoccupano dell'assetto della Europa dopo il conflitto aperto da Hitler e da Mussolini per difendere, secondo l'esaminata concezione bellica di Aldo Moro, la lesa "dignità" dei loro popoli. Su tale assetto il futuro piccolo presidente democristiano dorme sonni tranquilli, cullato dalle "dichiarazioni dei due Capi" e dagli scritti dei ministri Riccardi e Funk datati e accreditati. Egli comincia col sottolineare il destino ineluttabile dell'umanità di non potere evolversi se non attraverso dure esperienze belliche. E riconosce di buon grado che "in fondo, é la missione di un domani migliore che galvanizza i popoli fino a far loro accettare i gravissimi: sacrifici di un conflitto", giacché "gli eroi della guerra sono in fondo eroi per amore di una pace migliore", onde "si combatte perché si spera e mentre si combatte si pensa al domani". Da queste premesse ispirate al riconoscimento della missione storica di Hitler e di Mussolini, il Nostro deduce che "i governi d'Italia e di Germania danno l'esempio: conducono la lotta su teatri continentali e contemporaneamente in convegni ormai numerosi gettano le basi del futuro assetto europeo". Gli argomenti di questi convegni nazifascisti, insieme con la stampa e con gli scritti e i discorsi del Ministro fascista Riccardi e del Ministro nazista Funk, suggeriscono a Fanfani le prime linee del futuro ordinamento. Egli le definisce con sussiego come "le linee dell'edificio che i Capi sembra abbiano in animo di costruire". Responsabilmente, però precisa che ai particolari "nessuno ancora é sceso, ed é stata saggezza, perché, come fu autorevolmente dichiarato l'11 giugno [da Mussolini, s'intende, NdA], il programma immediato e la premessa di ogni riforma si riassume per ora in una parola: Vincere". L'eco fanfaniana di un popolare ritornello di quegli anni non ebbe eco nella storia. Noi non vincemmo e Fanfani dimenticò il preconizzato assetto dell'ordine nuovo. […]

 
FANFANI A DESTRA

 
[…] Sconfessato il sinistrismo socialistico, il professore Fanfani insegna agli studenti italiani che, tra la tesi liberale e l'antitesi collettivista, non c'é che una sintesi, quella del corporativismo fascista, da lui perorata con febbre di fedele, persuasione di pensatore e tecnica di colto insegnante. La controprova é in un dotto, successivo volume, intitolato Introduzione allo studio della storia economica (editore Giuffrè, 1941). In esso, i "successi della politica riordinatrice del Fascismo" sono ancora una volta collaudadati con parchi, ma rigorosi concetti scientifici, dopo il rigetto delle teoriche sovvertitrici del marxismo. La breve prefazione é firmata dall'autore, e datata Milano, 8 dicembre 1940 XIX. Rispettata l'era littoria, sulla storiografia economica contemporanea, a pagina 73, il Maestro scrive: "Per gli anni del dopoguerra, alla storia vera e propria si é sostituita la cronaca che con zelo é stata portata a termine ora da studiosi singoli, quali ad esempio l'Acerbo, il De Stefani, il Tassinari, intenti a documentare gli sforzi e i successi della politica riordinatrice del Fascismo; ora da enti che, in volumi, come ha voluto la Banca d'Italia, o in fascicoli speciali, come ha fatto l'Università Cattolica di Milano, seguono passo a passo l'evoluzione della situazione economica d'Italia. Si prepara così il materiale che, integrato dalle ricerche dell'Istituto Centrale di Statistica, faciliterà un giorno la stesura di una storia della vita economica dell'Italia fascista". Passa un anno. I littoriali chiudono il loro ciclo. I giovani cadono congelati lungo le bianche distese della Russia o stritolati dai carri pesanti britannici in Africa. Ma Fanfani attende ancora con lena allo studio dell'ordinamento fascísta che, di per sé, non é che studio di teoriche ed istituti opposti alle soluzioni eversive delle sinistre marxiste. Siamo nel 1942 quando, in una raccolta di studi diretta da Ettore Rota, l'eminente uomo politico della DC pubblica: Il problema corporativo nella sua evoluzione storica. É un erudito saggio di storia delle associazioni professionali, dalle rovine del mondo antico alla ricostruzione sociale dell'Ottocento, sino al ritorno del corporativismo nell'Europa contemporanea. Nella parte finale é dato positivo risalto al corporativismo fascista che ha "di mira il pacifico svolgimento della vita economica senz'ombra di violenza o di arbitrio privato", ed ha "al di fuori e al di sopra, come disciplinatore e garante del suo funzionamento, in armonia con i principi che lo fecero promuovere, il partito nazionale fascista". […] Il Maestro conclude che quello fascista, é il primo tipo concreto di organizzazione corporativa del secolo XX; gli altri movimenti europei collaterali non sono paragonabili al suo compiuto svolgimento. Meno di un anno dopo, il nemico sbarca in Sicilia e passa in Calabria, Amintore Fanfani, come folgorato sulla via di Damasco, muta casacca, diventa antifascista e se ne va in Svizzera. Dopo un annetto di comodo esilio torna a Milano, fonda la repubblica, le dà per mito la resistenza e si affretta a dichiarare che nessuno dei suoi ex allievi in camicia nera, e specie quelli rimasti fedeli ai suoi insegnamenti corporativi, potrà avere voce nella restaurata democrazia, e nemmeno contaminare col proprio appoggio un ministero da lui presieduto. Nulla da replicare. Il Maestro ha sempre ragione.

 

 

 
CAMERATA ALDO MORO
PRESENTE!

 
IL CONVEGNO DELLA FEDE

 
L'inverno stava per finire. Con Fortunati ci incontrammo più volte. Mi spiegò perché comunismo e liberalismo erano da respingere quali involuzioni negative della dialettica hegeliana, e perché il fascismo era la più perfetta e concreta delle dottrine politiche italiane. Quando le dorate sale della reggia palermitana [le quali ospitavano i Littoriali di Palermo del 1938, NdC] furono invase dai giovani arrivati da ogni parte d'ltalia, quando il povero e caro Mezzasoma dichiarò aperta la manifestazione, ero un po' emozionato tra quel centinaio di camerati in cinturone, stivaloni, camicia nera e spalline azzurre, iscritti al mio stesso convegno di dottrina del fascismo. I settentrionali facevano sempre impressione con i loro sci sci. I1 tema era: "Principi e valori universali del Fascismo". Presiedeva l'onorevole Ezio Maria Gray. C'erano anche in commissione il professore Antonino Pagliaro e il penalissta Giuseppe Maggiore. Segretario: Giancarlo Ballarati, littore dell'anno precedente, oggi uno dei migliori avvocati lombardi. Dalle altre sale si veniva spesso a sentire le nostre discussioni durate tre giorni, perché in esse si dibattevano temi cruciali per l'elaborazione teorica della Rivoluzione. Venne Bottai, spesso passava Mezzasoma, una delegazione nazista di studenti tedeschi, giunta dalla Germania, mostrava un morboso interesse per i nostri argomenti. Sulla pedana eravamo in tanti a dire un po' le medesime cose. I vecchi squadristi ci sfottevano, perché per essi il fascismo non andava spaccato come un pelo in quattro. Ma Moro, Roberti, Taviani, io, pensavamo che era meglio irrobustirlo con la polpa di una dottrina. E dicevamo: universale é quel principio politico che si pone come soluzione di un problema universale; il termine "universale" non va interpretato empiricamente in senso spaziale, ma determi-nandone il significato in sede conoscitiva. Universale non vuole dire "di tutti"; vuole indicare solo un valore assoluto che, in fase di conoscenza, si identifica col "vero". Vero é il fatto. Il fascismo é verità, é storia, in quanto esprime lo Stato fascista, realizzazione di un particolare concetto dell'organizzazione politica in cui si concreta. Scusatemi, forse i concetti sono un po' intricati, ma li ricordo bene perché sono gli stessi concetti che il professore Amintore Fanfani ci aveva insegnato tre anni prima in punto di universalità della dottrina corporativa. Comunque, sono autentici, quelli e non altri: li traggo tali e quali dagli opuscoli e dalle cronache riassuntive dell'epoca. Quelle medesime cronache che, su un giornale del 14 aprile 1938, testualmente riportano: "Le osservazioni più inte-ressanti si sono avute sempre nel senso universale del fascismo di fronte alla storia: e l'universalità della dottrina fascista come principio di dominio storico é stata posta in luce originalmente da Aldo Moro, di Bari".

 
GRAY GIVDICA MORO

 
Dunque, come le cronache dell'epoca fanno sapere, il futuro presidente del Consiglio e segretario politico della DC, l'intransigente capo delle sinistre cattoliche, l'aspirante presidente della Repubblica italiana, così ruggibondo contro i missini perché eredi, egli disse nel 1959 al congresso democristiano di Firenze, di un passato che fu "come la teorizzazione della dittatura, la legittimazione della violenza nei rapporti sociali, il rifiuto del travaglio difficile ma fecondo della democrazia", riteneva invece, quando il fascismo era in vita, e Mussolini vinceva le guerre, e il titolo di littore schiudeva rosei miraggi, che il fascismo avesse dalla sua la validità della storia, che fosse perciò universale, e potesse dirsi acquisito alla sua dottrina un principio autocratico di dominio. Ma per non discostarci troppo dall'autorevole pensiero del camerata Aldo Moro é meglio cedere direttamente a lui la parola, cioè farci da lui spiegare la dialettica dell'universalità fascista, com'egli stesso la concepì in quella primavera ferace. Siamo infatti ora in grado di disporre dell'articolo che Moro pubblicò subito dopo i littoriali di Palermo sul periodico Azione Fucina. Ne stralciamo la parte che ci interessa e che illumina di fede l'intelligenza del giovane autore: "Nel convegno di Dottrina del Fascismo si é sottoposto ad esame, quest'anno, un tema ampio ed assai importante: 'Principi e valori universali del fascismo'. Tutta la portata dell'argomento, era, a ben guardare, nel suo carattere di centralità. Perché é evidente che tutti gli aspetti della vita fascista e non gia soltanto di quella stret-tamente politica, prendono luce particolare, quando siano valutati di fronte ad un nucleo essenziale di dottrina, di cui siano riconosciuti i caratteri di universalità. É proprio e solo per questo, che si può parlare di un nuovo, completo sistema di civiltà fascista, tale che imponga all'Italia particolari compiti nella ricostruzione dell'agitato scacchiere politico europeo, le prospetti particolari problemi di politica educativa, determini un'attenta ricerca di valori, che nelle arti, nelle lettere, nelle scienze, esprimano il valore fondamentale del Fascismo nella storia della civiltà. Il tema del convegno di dottrina del Fascismo è apparso così il tema centrale di questi Littoriali della Cultura dell'Anno XVI". Oh, se il fascismo non fosse caduto sotto le macerie di una guerra perduta! Come il Moro di oggi avrebbe cercato quel prezioso trafiletto del 14 aprile 1938 e quell'articolo di Azione Fucina, che merito se ne sarebbe fatto, magari per giungere a ministro anche sotto la dittatura, e comporre con Fanfani e con Ferrari-Aggradi un governo universal-fascista! A un certo punto del convegno la commissione riten-ne utile un più agevole metodo selettivo. Fece una cernita di una trentina di giovani e li invitò a discutere a scelta, il giorno dopo, questi sottotemi: l'elevazione della personalità nello Stato; criteri differenziali tra la concezione bolscevica del lavoro e quella fascista; i rapporti tra Stato e Nazione; il diritto, da Roma ad oggi, come primato universale del popolo italiano. lo scelsi quest'ultimo argomento, anche perché avevo fresca lettura di una monografia del professore Biondo Biondi, eminente Maestro democristiano della Università Cattolica, intitolata Romanità e Fascismo. Mi pare che Moro, incluso nella cernita finale, se leggo bene alcuni miei appunti fatti caliginosi dal tempo, abbia scelto invece il primo, di sapore totalitario e statolatra. In eliminatoria entrò anche l'attuale segretario generale della CISNAL e parlamentare missino, onorevole Giovanni Roberti. In conclusione vinsi io. Moro fu classificato al quinto posto. Ma si era un po' tutti a spalla. Forse qualche sfumatura a mio vantaggio provenne dal fatto che ero stato preparato in dottrina fascista da un potenziale senatore comunista, il professor Paolo Fortunati. Ma confesso che Aldo Moro, di fascismo, ne sapeva almeno quanto me. Infatti leggo in un ingiallito ritaglio quest'articolo del presidente del convegno, Ezio M. Gray; "Quando faticosamente potemmo scegliere nel gruppo, quasi alla pari, dei più degni, il littore di dottrina fascista, e lo annunciammo, quelli stessi che giustamente avevano potuto sperare di essere essi i vittoriosi, acclamarono d'impeto il camerata Tripodi e lo assaltarono di abbracci. Anche questo era da notare". Aveva ragione di abbracciarmi Aldo Moro! Se il littore fosse stato lui sarebbe finito epurato al mio posto, e a Montecitorio non avrebbe potuto che occupare uno scanno a destra, tra i deputati missini Manco e Caradonna. Che confusione, la storia!

 
(da "Camerata Taviani Presente!", a cura di A. Lombardi)

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