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Giustizia per i morti di Bologna

Ultimissime del giorno da ADNKRONOS

domenica 13 giugno 2010

Brasillach come Chénier


Brasillach come Chénier
Salì sul patibolo per le sue idee


 
A Frèsnes è l'alba del 6 febbraio 1945. Nei
corridoi della prigione stillante, ampi e
tetri, il condannato conta gli ultimi minuti.
La domanda di grazia, firmata da François
Mauriac, Albert Camus, Jean Cocteau, Paul Valery,
Paul Claudel, Sidonie Gabrielle Colette e da
trenta Accademici di Francia, è stata seccamente
respinta dal generale "alleato" Charles De
Gaulle. "Arrivederci Béraud, Comballe". A Montrouge
lo legano al palo, egli sorride. Grida "vive
la France!", con lo sguardo nel sole, si puntano i
fucili, l'ufficiale ordina il secco "feu!", undici
proiettili lo crivellarono.
Robert Brasillach, scrittore, poeta e critico, era
nato a Perpignan nel 1909. Entrato giovanissimo
nel giornalismo con Charles Maurras nel 1932,
come titolare della rubrica letteraria dell'Action
française. S'interessò di cinema, componendo
un'opera storica (Histoire du cinéma, con Maurice
Bardèche, 1935), di teatro, per il quale scrisse La
reine de Césarée, si diede al romanzo, prima con
Le voleur d'étincelles (1932), limitandomi ai principali,
poi con Le marchand d'oiseaux (1936) e con
Comme le temps passe (1937). Fascista convinto, di
formazione umanistica e cattolica, maturatosi nel
vivacissimo clima dell'antipositivismo francese,
dai contorni spiritualisti, volontaristi e attualisti,
nella temperie accesa, livida e settaria della Resistenza,
fu accusato di collaborare coi tedeschi
occupanti, ma in realtà la sua attività politica si
era limitata alla pubblicazione di articoli di giornale;
la cosa gli costò alla Liberazione il processo
e la condanna a morte mediante la fucilazione,
nonostante, con una memorabile arringa, l'avvocato
Jacques Isorni si fosse sforzato di dimostrare
solo la sua colpevolezza di reato di opinione.
"No, camerata Brasillach - con questa lettera postuma
volle ricordare alla Spagna e all'Europa il
giovane giornalista J. L. Gomez Tello, premessa
all'edizione dei Poemi di Frèsnes - non solo a te
hanno posto le catene nella mostruosa prigione
di Frèsnes, quelle catene le portiamo tutti alle caviglie
dal 1945. Noi, una gioventù come mai ne è
esistita altra, la gioventù di Europa che cadde con
Erwin Rommel, con Léon Degrelle a Derenkowez,
con Rodolfo Graziani in Africa, una gioventù
sacrificata nei cento giorni dell'accerchiamento
di Francoforte, nei tre mesi dell'assedio di
Koenigsberg, caduta difendendo Stalingrado e
Roma, travolta nella lotta eroica al metro di Berlino
e fra le macerie di Colonia, immolatasi a Parigi,
caduta fucilata con Carlo Borsani, noi
abbiamo il diritto di invidiare la tua morte. Tu sei
morto quando tutto era bello e puro e fresco,
come la primavera dei soldati dell'Europa, alzata
come una nube rossa sui carri armati e sui cannoni.
Ti fucilarono perché eri entusiasta, impetuoso,
sincero e violento, come il mondo che
desideravamo costruire. Noi in un mondo vecchio
e codardo siamo fucilati ogni giorno. Sai, Robert,
fucilato per aver creduto nell'Europa di
Carlo Magno e di Roma, che domani forse dovremo
morire per l'Europa dei mercanti e dell'oro? Tu hai visto morire
sotto le raffiche i fanciulli
tedeschi combattenti contro i Senegalesi in
difesa della patria, tu hai visto a S.Maria Novella
i giovani squadristi morire col braccio alto e al
grido Mussolini! sulle labbra. È bello morire così,
è bello pensare che a questa Europa che non è né
quella di Strasburgo né quella di Stalin, noi possiamo
offrire le stille del sangue di Brasillach, che
il suo difensore ha raccolto su di un foglio di
carta."
Testimonianza di traboccante umanità e d'incrollabile
fede nelle idee, i Poemi di Fresnes, scritti con
una "penna stridente in una cella / dove l'umidità
gocciola di continuo" con "il parco di Sceaux
all'orizzonte / la via dei pellegrinaggi, i pioppi,
le case", mentre "un fischio nel corridoio / uno
spioncino che si apre nella porta / un carro che
riparte / una ciotola che ci vien portata / sembrano
rumori che si alzano da un porto" costituiscono
una limpida e commossa confessione
poetica dell'uomo, incalzato da un inesorabile destino
di morte. I desideri nel travaglio dell'imminenza
del verdetto già scontato si smorzano e si
riducono all'essenziale: "O Signore, noi non desideriamo
niente / solo gli amici, la giovinezza, i
giochi dei fanciulli / la casa il mare la Senna e i
libri". La vita già gli sfugge dalle mani: "La mia
vita è un uccello nella rete del cacciatore / ecco
l'ultimo atto, l'ultimo secondo", ma non dispera
mai: "ciò è impossibile alle promesse del mondo
/ resta ancora possibile a voi solo, Signore".
Tuttavia, "l'uccellatore si avvicina col suo sacco
in mano" e, quando la morte di Robert è ormai
decisa, le immagini e le parole sembrano contrarsi:
"Ho passato questa notte sul Monte degli
Ulivi / ne ero forse indegno, dopo di voi, o Signore?
/ Non lo so, ma la catena era pesante ai
miei piedi / ed io sudavo, come voi, il mio sudore"
e velarsi di cupa disperazione umana:
"Vado verso Getsemani / durante tutta la notte
oscura / la notte e lunga e dura / la notte che precede
l'agonia / il sudore cola dal mio corpo / il
sangue sfugge dalle mie vene". Eppure, la fede
nella redenzione celeste non lo abbandona mai:
"Tutto è possibile quando voi volete, o Signore /
il catenaccio viene tirato sulla soglia della prigione
/ il fucile si abbassa davanti al bersaglio /
i morti già pianti escono dal sepolcro".
L'amaro rimpianto di una vita breve, ma intensamente
vissuta, e il solitario colloquio con la
morte, che s'appresa, non sono tutto. C'è nei versi
di Fresnes la descrizione inquieta dell'angosciosa
e terribile pena del prigioniero "con la catena ai
piedi / dietro enormi chiavistelli / di tutti i prigionieri
del mondo / che sono tutti uguali / e
vanno marciando al passo / con le spalle curve
sotto il peso del destino dell'uomo", di quelli passati
"i loro nomi sui muri muffiti / già si cancellano
/ hanno sofferto e sperato / talvolta moriva
tra queste mura" e di quelli presenti "Buon Natale
ai ragazzi in cella / Natale dietro le sbarre /
Natale senza albero e senza allegria / Natale
senza fuoco e senza doni"; la sua personale sofferenza
"Non ho mai posseduto gioielli / né
anelli, né catenelle ai polsi / ma ora mi hanno
messo la catena ai piedi"; il tormento di vivere
"dietro le sbarre" cancellando i giorni sul calendario
"ad uno ad uno".
Idealmente si collegano nei Poèmes de Fresnes tre
componimenti sublimi: il Canto per Andrea Chénier,
ghigliottinato dai giacobini più esagitati nel
1794 "Nel cuore l'ultimo canto di Orfeo / te ne
vai verso il patibolo / o fratello dal collo mozzato
/ tu sognavi nelle notti nere / un'alba ancora che
t'illuminasse / per poter commuovere la storia /
su tanti innocenti massacrati / è passato un secolo
e mezzo / la stagione dell'uomo è ancora
peggiore / ecco di nuovo i tempi di Andrea Chénier;
il Giudizio dei giudici, un'accusa ai giurati,
implacabili ed assetati di sangue, non di giustizia,
e nello stesso un forte messaggio di fede, di coerenza
e di coraggio per i giovani di Europa, artefici
un giorno della resurrezione e del riscatto:
"Quelli che partono con le mani legate, cui è negato
un nuovo giorno / quelli che cadono all'alba,
legati al loro palo / quelli che lanciano un
ultimo grido al momento di perdere la pelle /
questo formeranno un giorno l'Eterna Corte di
Giustizia"; infine, il Testamento di un condannato,
stilato nella convinzione che le idee non muoiono,
per cui la guerra combattuta per una causa
giusta deve continuare con lo slancio di quelli che
la cominciarono: "Ma ecco soprattutto, o fratello
mio / il coraggio della giovinezza / lascio a te il
meglio / i diciassette anni, la nuova alba / i colori
del mattino avanzato / A voi fratelli / camerati
dei fili spinati / ecco le nostre nevi sul campo /
ecco le nostre speranze di esuli / le nostre lunghe
attese / la nostra limpida fede / Solo che non mi
si può strappare / l'amore e il gusto della terra /
la fiducia dei miei fratelli / e sempre il pensiero
dell'onore".
Alberto Perconte Licatese

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