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venerdì 21 gennaio 2011

Rivolte e delitti sono i frutti malati della modernità

di Massimo Fini - 18/01/2011
Fonte: Massimo Fini [scheda fonte]
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Tutte le volte che nel mondo arabo-musulmano c’è qualche sommovimento o dramma in occidente si tende a vedere lo zampino di Al Qaida. Persino l’attentato alla chiesa cristiano-copta del Cairo si è tentato di attribuirlo a un terrorista afgano, tanto per giustificare lo sfracello che stiamo facendo da quelle parti, mentre si tratta con tutta evidenza di un conflitto religioso interno allo Stato egiziano. Al Qaida non esiste o se esiste è composta da fannulloni che passano le serate a bere nelle bettole, in barba al Corano, perchè questa micidiale rete, che doveva avere basi in sessantasei Paesi, dopo l’11 settembre non ha combinato nulla (gli attentati di Londra e ai treni di Madrid furono opera di elementi autoctoni che con Al Qaida non avevano nulla a che fare) eppure una bomba in un grande magazzino di una città occidentale è capace di metterla anche un bambino. 
Purtroppo quello che sta succedendo nel Magreb è peggio di qualsiasi Al Qaida, vera o finta. L’imprenditore tunisino Tarak Ben Ammar, sodale di Berlusconi in Mediaset, ha detto: "Questa rivolta è il prezzo della modernità".

Nel senso che il progresso ha aumentato in Tunisia il numero dei laureati i quali però non trovano lavoro o lo trovano molto al di sotto del loro titolo di studio, con relativa frustrazione, come quel venditore ambulante che, dandosi fuoco, è all’origine della rivolta.
Situazione di disoccupazione intellettuale del resto ben nota anche in Italia, solo che da noi le generazioni precedenti hanno accumulato un po’ di ricchezza (e possono quindi mantenere i figli "bamboccioni") non per un qualche particolare "genio italico", ma perchè l’Italia, come ogni altro Paese occidentale, essendo partita prima sulla via dello Sviluppo ha potuto rapinare per decenni i Paesi del Terzo Mondo.

Adesso questa pacchia è finita. Perché qualcuno di questi Paesi, come quelli dell’Africa nera, sono ridotti a dei cimiteri e da loro non c’è da cavar nulla e altri, quelli asiatici, sono diventati nostri competitori. 
Ma quella tunisina e algerina non è solo una rivolta di intellettuali frustrati, è una "rivolta del pane", cioè di un progresso che produce miseria. Il perché si chiama globalizzazione, cioè l’estensione universale del modello di sviluppo partorito dalla Rivoluzione industriale che comporta una micidiale competizione fra Stati. Molti Paesi non riescono a reggerla. Del resto nel concetto stesso di competizione sta che se c’è qualcuno che vince c’è qualcun altro che perde. Ma anche i Paesi che reggono la competizione lo possono fare solo al prezzo del massacro delle proprie popolazioni, con uno smantellamento del "welfare", come stiamo facendo in Europa, un aumento della velocità, dello stress, dell’angoscia. 
Sui giornali non si legge che di delitti interfamiliari spesso incomprensibili. Dice: è aumentata l’informazione. No, negli anni Cinquanta i giornali erano attentissimi alla cronaca nera, e molto meno alla politica, e notizie di questo genere erano rare, episodiche. Il delitto Ghiani-Fenaroli tenne banco per anni. In genere si parla di un raptus di follia. No, è depressione che è frutto del contesto in cui viviamo, come la nevrosi, la droga e l’alcolismo di massa che sono tutte malattie della modernità. E allora delle tradizionali domande, "chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando", è l’ultima che dovremmo, una buona volta porci.

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