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lunedì 22 novembre 2010

Obama: «Mia cara, mia carissima Europa»

di Federico Zamboni - 19/11/2010
Fonte: il ribelle


obama11Prima il summit della Nato, poi i colloqui coi vertici Ue. Il presidente Usa magnifica i rapporti reciproci, ma dietro le questioni militari si stagliano i problemi dell’economia



Gli Stati Uniti annaspano e Obama anche, specialmente dopo la sconfitta più che mai annunciata alle elezioni di Midterm e l’esito a dir poco interlocutorio del G20 di Seul. Come in tutte le situazioni di debolezza, quindi, le sue attestazioni di stima e le sue profferte di (imperitura) amicizia vanno accolte con tutte le cautele del caso. Stando bene attenti a chiedersi quanto siano condizionate dalle circostanze e quanto, perciò, possano perpetuarsi nell’avvenire.
Grazie alla natura degli incontri – che si incentrano sul summit della Nato di Lisbona ma che prevedono anche un incontro tra il Presidente Usa e i vertici della Ue, il presidente del Consiglio Herman Van Rompuy e quello della Commissione José Manuel Barroso – nelle dichiarazioni della vigilia Obama mischia accortamente le questioni della difesa e quelle dell’economia. L’intento è chiaro: avvalorare l’idea che i due piani siano inscindibilmente legati, per cui alla collaborazione degli eserciti e dei servizi di intelligence si debba accompagnare una strategia comune anche in ambito produttivo e, soprattutto, finanziario.
Sul primo versante il gioco è facile. Basta agitare lo spauracchio della minaccia terroristica, sottolineando che «Al Qaeda ha ancora la capacità e l'obiettivo di attaccare l'Occidente» e aggiungendo, anche per rilanciare il progetto di scudo antimissile, che l’allarme deve essere tanto maggiore in quanto oggi esistono ordigni «più flessibili, mobili, affidabili e accurati, la cui portata è in aumento, e mette in pericolo popolazioni e territori dell’arco transatlantico».
Sul secondo, invece, l’operazione è di gran lunga più complessa. Obama mira a far credere che il rafforzamento degli Stati Uniti e quello della Ue marcino di pari passo, e lo dice apertamente: «La politica economica che stiamo applicando a Washington ha un solo obiettivo: rilanciare la crescita americana, e questo aiuterà anche voi europei». Ma essendo la cosa una palese sciocchezza, a cominciare dal deprezzamento del dollaro rispetto all’euro, non gli resta che puntellarsi con argomentazioni di altro tipo, nella più classica (e spudorata) delle “captatio benevolentiae”: «Con nessun’altra regione del mondo gli Stati Uniti hanno una tale stretta identità di valori, interessi, capacità e obiettivi. Il più importante rapporto economico del mondo, il commercio trans-atlantico, sostiene milioni di posti di lavoro negli Stati Uniti e in Europa e costituisce la base dei nostri sforzi per sostenere la ripresa economica globale».
Tolti i servi sciocchi, disseminati nei governi e nei media, non si capisce proprio chi gli possa dar retta. E infatti Federico Rampini, che lo intervista in esclusiva per Repubblica non manca di fargli la più logica delle domande: «Alcuni Paesi europei, con la Germania in testa, hanno criticato duramente la politica di creazione di liquidità adottata dalla Federal Reserve. Un euro forte rispetto al dollaro rende le nostre esportazioni meno competitive. Gli europei temono anche il ritorno a una politica del “credito facile” da parte degli Stati Uniti, la stessa politica lassista che fu tra le cause dell'ultima crisi. Lei come risponde alle nostre preoccupazioni?».
La replica merita di essere riportata per intero: «Noi lavoriamo a stretto contatto con l’Europa e i membri del G20 per assicurare una ripresa forte, equilibrata e durevole, che eviti di ricadere negli eccessi del passato. Come ho detto nella mia conferenza stampa a Seul, il “quantitative easing” (l’acquisto di titoli pubblici da parte della banca centrale, ndr) è un’azione di politica monetaria svolta dalla Federal Reserve. La banca centrale è indipendente e io non commento le sue azioni. Noi siamo concentrati su tutti gli interventi che possono promuovere la ripresa e rafforzare l'economia americana. Questo include la Federal Reserve. Un’economia americana forte è il contributo più importante che gli Stati Uniti possono dare alla ripresa globale».
In realtà è l’esatto contrario: in mancanza di una ripresa globale, peraltro assai dubbia e irta di incognite, gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità di risollevarsi dal disastro al quale si sono condannati da soli, a forza di bolle speculative e di consumi parossistici. Se l’Europa fosse libera, dai condizionamenti di Washington e da quelli della finanza internazionale, lo avrebbe capito da un pezzo e si regolerebbe di conseguenza.

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