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lunedì 6 febbraio 2012

6 febbraio 1945: il testamento di un condannato a morte

Jacques Isorni, Il processo Brasillach. Traduzione di Franco G. Freda. Prefazione di Maurice Bardéche. Edizioni di Ar, pp. 144, euro 15,00
Il processo e la condanna a morte, nel febbraio del '45, per collaborazionismo, nei confronti del grande scrittore (anche giornalista e critico cinematografico) francese.

“PRESIDENTE: La Corte condanna Brasillach Robert alla pena di morte; ne ordina la fucilazione. UNA VOCE DAL PUBBLICO: È una vergogna! BRASILLACH: È un onore….!” Così si conclude, il 19 gennaio 1945, il processo contro il poeta fascista Robert Brasillach, che alcuni giorni dopo viene fucilato. Scritto dal suo difensore, il celebre avvocato Jacques Isorni, questo libro raccoglie le ‘parole’ di cui sono intessute le politiche e segnate le lotte delle dramatis personae del fascismo francese. Insorte nell’Europa della modernità come voci (ideologiche) del coro delle rivoluzioni nazionali, esse erompono sùbito in Feldgeschrei: gridando la guerra dei fascismi alle insensate democrazie novecentesche.

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Il 19 Gennaio Robert Brasillach è condannato a morte, nonostante l'intercessione di Mauriac, Claudel, Camus, Cocteau, Valery, di trenta accademici e degli studenti di Parigi e di altri prestigiosi nomi della cultura francese. De Gaulle fu irremovibile nel respingere la grazia.

Robert Brasillach

IL TESTAMENTO DI UN CONDANNATO

A trentacinque anni
prigioniero come Villon,
incatenato come Cervantes,
condannato come Andrea Chenier,
prima dell'ora dei condannati,
come altri in altri tempi,
su questi fogli scarabocchiati
inizio il mio testamento.
Per sentenza, dei miei beni terreni
mi si vuol togliere il possesso.
E' facile, non ho terre ne tesori
e i miei libri, le mie visioni
possono essere dispersi al vento:
amore e coraggio
non sono soggetti a processo.
Per prima cosa lascio l'anima mia
a Dio suo creatore,
nè santa nè pura, lo so,
soltanto l'anima di un peccatore.
Possano i Santi francesi
quelli della fiducia, dire
egli non arrivò mai
a peccare contro la speranza.
Cosa donare alla mia patria
se ella stessa mi ha scacciato?
Ho creduto d'averla servita
e l'amo sempre, anche oggi.
Essa mi ha dato il mio paese,
e la lingua che è stata mia.
Io non posso che lasciarle qui
il mio corpo, in terra sconsacrata.
E poi lascio il mio amore,
la mia infanzia, il mio cuore,
il ricordo dei primi giorni,
il cristallo della più pura felicità.
Ah! Lascio tutto ciò che amo
il primo bacio, la freschezza,
lascio veramente tutto me stesso,
il meglio, se pure ve ne è.
A te o prima immagine,
al sorriso sulla mia culla
alla tenerezza e al coraggio,
alla magia dei giorni tanto belli,
sole anche fra i singhiozzi,
fierezza nei tempi peggiori,
a te che non importa
l'età del tuo bambino.
E per te, sorella, amica mia,
(ho passato tanto poco tempo
lontano da te, e per tutta la vita
i nostri cuori hanno palpitato insieme)
quello che lascio
sono i fienili della vecchia primavera,
i giochi della giovinezza,
le passeggiate da studenti.
In mezzo alla neve gelata
la gaiezza è soltanto tua,
tuo il sorridere
al di là le sbarre lontane
tu così fiera, indomita,
sorridente nella sfortuna,
amica di sempre,
sorella di gioia e di dolore.
A te, ancora, che ho visto nascere
quando avevo dodici anni,
o sorellina, ti sei affacciata
alla vita in giorni foschi.
A te tutto ciò che abbiamo trovato,
il disprezzo dei cuori vili,
il silenzio che ci riunisce,
e l'onore che non si infrange.
O bambini miei,
voi che non mi dimenticherete
(e forse altri verranno dopo di me)
voi m'avete dato quaggiù
i vostri giuochi e i vostri abbracci,
il vostro sonno da custodire:
ecco vi parlo sottovoce
e vi rendo tutte queste meraviglie.
Ed eccomi a te, Maurice,
fratello della mia giovinezza,
cosa potrei donarti a te che lascio
che non sia anche tuo?
Parigi che ci fu cara
Firenze che appare,
e, con le strade brulle e rosse,
sempre la nostra Spagna.
Ma ecco soprattutto, fratello mio,
il coraggio della giovinezza:
nessun caso o disperazione,
guarda tutto con fiducia.
Dallo stesso destino ben mascherato
noi desideravamo solo un disegno chiaro,
così è stato. E niente ci ha negato
fra i doni che poteva recarci.
Bene o male, accettiamo il premio!
Glielo rendo, tutto alla rinfusa.
Ma lascio a te il meglio,
i diciassette anni, la nuova alba,
i colori del mattino avanzato,
i nostri anni uguali e belli,
i bimbi della nostra casa,
e la nostra giovinezza immortale.
E poi ecco i miei amici,
a ognuno il suo ricordo,
a voi di ieri, a voi di oggi,
voi mi siete intorno senza scappare,
voi accendete al mio passaggio
il più bel fuoco dell'avvenire.
Tendo le mani verso i vostri volti
che mi aiutano ad essere forte.
Caro Josè, ecco la città,
la corte di Luigi il Grande
Georges, per lo stato futuro,
ecco le strade nelle campagne.
Henry, ecco i Lungosenna,
e i libri da sfogliare,
e il paese delle Sirene
che avremmo dovuto visitare.
Ecco Natale a Vendome,
Notre-Dame dei pellegrini.
Il passato è stato tanto bello
non bisogna accusare il destino.
Fino al termine del nostro viaggio terreno,
abbiamo sempre visto il meglio,
la consapevolezza di noi stessi,
la giovinezza del nostro cuore.
E per te, amica mia,
tanto tempo dopo la nostra adolescenza,
non ho che strani ricordi da lasciarti:
poche gioie, certamente, e molte pene,
l'asilo dove cercai di proteggere la mia vita
nel mezzo dei giorni peggiori,
e ciò che mai si dimentica.
A voi, fratelli di guerra,
camerati dei fili spinati
fedeli in ogni disavventura,
non cessate di parlarmi.
Ecco le nostre nevi sul campo,
ecco le nostre speranze di esuli,
le nostre lunghe attese,
la nostra limpida fede.
E voi, giovani del mio paese
ecco le parole che abbiamo pronunciato,
i nostri fuochi nel campo della notte,
e le nostre tende nei boschi,
voi lo sapete meglio di chiunque,
ho voluto preservare la patria
dal sangue versato, a voi dono,
amici miei, questo sangue custodito.
Caro Well, pilastro incrollabile,
il popolo minuto del mercato,
la via brulicante,
le carrette degli ortolani,
sono cose tue, testardo amico,
che nell'ombra sembri indovinare,
ciò che la fede duratura,
malgrado l'apparenza, spera.
E voi, ultimi arrivati,
amici dei giorni peggiori,
prigionieri rinchiusi dalle sbarre,
custodite le mie ultime ore di condannato
custodite il freddo e il fastidio:
per chi non avrà neanche questi
essi sono dei tesori.
Ed io l'ho conosciuti con voi.
Qualche ombra, qualche immagine
ha ancora diritti a qualche briciola:
affrettiamoci quindi nella spartizione
prima che si compi il destino.
Tutti coloro, uomini e donne,
che sono entrati nel mio cammino
possono nella notte lucente
aspettare il mattino con me.
Per tutti loro avevo mani traboccanti:
esse sono ora vuote
dei ricordi più lontani
e del passato più commuovente.
Non conservo da portare
al di là della vita terrena,
lontano dai piaceri umani,
che quelle che furono le mie amicizie,
solo ciò che non mi si può strappare,
l'amore e il gusto della terra,
il nome di quelli che vengono
nel mio cuore nelle notti tristi;
gli anni della mia felicità,
la fiducia dei miei fratelli,
e sempre il pensiero dell'onore
e l'immagine di mia madre.

22 Gennaio 1945

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