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domenica 15 agosto 2010

mala tempora currunt

Mala tempora currunt
Di Fabio Calabrese

Un paio di anni fa sulle pagine di Ciaoeuropa, commentando i risultati delle ultime elezioni politiche, avevo fatto quello che allora poteva sembrare semplicemente un esercizio di fantapolitica, prevedevo la fine del bipolarismo. Il centrosinistra era uscito dal confronto elettorale con le ossa rotte e le prove successive, soprattutto le ultime regionali, hanno dimostrato che questa crisi si sta solo e sempre di più aggravando ma neppure al centrodestra si poteva o si può pronosticare un futuro splendido, poichè la sua coesione è garantita solo da un leader ormai anziano, ed  è ovvio che i suoi colonnelli si guardino in giro in vista di una successione, ed è ben chiaro che nessuno di loro, a cominciare dal co-fondatore del PdL, è in grado di esercitare sull'intero centrodestra lo stesso controllo carismatico del Silvio originale.
PD e PdL non sono due partiti nel senso classico della parola, sono due coalizioni di interessi, due accozzaglie senz'anima e senza identità , senza una visione ideologica comune, da qui la loro labilità  e la frammentazione interna dietro gli unanimismi di facciata.
Queste due entità  sono entrambe nate male in partenza. Il PD è stato il parto di Walter Veltroni, nel tentativo di offrire agli elettori una novità  e di prendere le distanze dal fallimentare biennio del governo Prodi, ma anche con uno spirito di servilismo e imitazione sfacciata nei confronti del bipartitismo USA che non rispondeva alla situazione italiana; è stato creato a tavolino un mostro di Frankenstein che accorpava ex democristiani ed ex comunisti. Dall'altra parte nel centrodestra le cose non sono andate meglio, perchè  la frettolosa creazione del PdL ottenuta fondendo Forza Italia e AN era palesemente un'imitazione di quel che Veltroni andava facendo a sinistra.
Come cambierebbe lo scenario politico italiano nel caso di una crisi di entrambe le coalizioni, un'ipotesi che il tempo trascorso dalla stesura di quell'articolo ha reso sempre meno peregrina?
A destra, ipotizzavo, resterebbe ben salda e vedrebbe crescere ulteriormente il suo potere di aggregazione e di consenso la Lega, voglia o non voglia, l'ultimo vero partito che esiste oggi in Italia, con un'anima, un'identità , un programma, degli scopi largamente condivisi dai militanti e dagli elettori.
Al centro, ipotizzavo una convergenza Fini-Casini-Rutelli ed a sinistra una capacità  di aggregazione non verrebbe più dai rottami degli ex comunisti miseramente naufragati, ma dai volti nuovi, Di Pietro e Vendola (chissà , forse anche Grillo). In questa ipotesi, pezzi del PdL potrebbero essere attratti sia dalla Lega sia da Fini-Casini-Rutelli e ciò che resta del PD si potrebbe dividere fra i neocentristi e la nuova sinistra.
Poichè tra la Lega e Fini-Casini-Rutelli non sarebbe possibile alcun genere d'intesa, soprattutto dopo la scomparsa per naturale decesso o per cessazione politica, di Berlusconi, l'unica maggioranza possibile in questo quadro sarebbe un centrosinistra Fini-Casini-Rutelli-Di Pietro-Vendola (cui ciò che sarà  rimasto del PD si aggregherebbe ben volentieri).
Il dato più evidente in una situazione di questo genere, è che la frattura che continuerebbe a fare dell'Italia un Paese diviso, non sarebbe più o non tanto fra destra e sinistra, quanto fra nord e sud.
I ricorrenti mali di pancia del centrodestra, che hanno portato a staccarsene prima Casini e attualmente Fini, hanno infatti un motivo preciso: quando Fini e Casini asseriscono che il governo Berlusconi è condizionato dalla Lega, non fanno altro che constatare l'obiettiva verità . In democrazia vince chi ha i numeri, e senza l'apporto della Lega, il PdL i numeri per governare non ce li ha. A suo tempo, da questo punto di vista, la caduta del primo governo Berlusconi chiarì le cose in maniera davvero esemplare. Inoltre, è chiaro che non c'è da aspettarsi nessuna flessione a breve o a medio termine nel consenso intorno alla Lega, è semmai una crescita ulteriore quella che si può ragionevolmente ipotizzare.
Due fattori giocano e sono destinati a giocare sempre più nel futuro, a breve, a medio, a lungo termine: la profonda asimmetria che esiste fra le due parti del Paese e il problema dell'immigrazione.
Consideriamo solo il fatto che non siamo per nulla usciti, contrariamente alle ottimistiche dichiarazioni dell'uomo di Arcore, dalla crisi che travaglia da qualche anno le economie occidentali: i consumi non crescono e i salari reali perdono di valore, la produzione non decolla o è in recessione. In queste condizioni, gli sprechi che nel passato erano fonte di indignazione morale ma dei quali si era tutto sommato disposti a pagare il prezzo in cambio della stabilità  sociale e politica, diventano un peso intollerabile.
Che esista una profonda asimmetria fra le due parti dell'Italia, questo non può essere oggetto di discussione, è nei fatti e nelle cifre. Che il nord, la parte più produttiva del Paese, che senza la macina al collo di una fiscalità  esosa e sproporzionata, si situerebbe tranquillamente ai livelli medi europei, paghi annualmente allo stato centrale e al sud l'equivalente di quattro finanziarie, è un dato ben noto e non contestabile. Ricchezza che, sottratta al nord, viene versata a pioggia al sud, senza produrvi risultati più apprezzabili dell'irrigazione di una lastra di metallo, e stranamente i settori dove si riversano i maggiori contributi pubblici, sono anche quelli dove i servizi erogati ai cittadini raggiungono i livelli più tragici e vergognosi di inefficienza; uno per tutti, la vergogna, lo scandalo permanente che è la sanità  pubblica meridionale.
Chi al nord ci è nato, ci vive, ci lavora (anche se si chiama, ad esempio, Calabrese), in teoria potrebbe anche accettare un'imposizione fiscale che equivale ad oltre la metà  del reddito prodotto se questo servisse a far decollare l'economia meridionale, ma non se produce il risultato contrario, se va ad alimentare caste e cricche, politici e potentati locali che hanno delle contiguità certamente non episodiche con la criminalità  organizzata.
Il fatto che la legge sul federalismo fiscale proposta dalla Lega abbia avuto un'adesione unanime di tutti i gruppi politici, in realtà  la dice lunga: la classe politica sa di aver sfruttato e di continuare a sfruttare il Paese o almeno la sua parte produttiva oltre ogni decenza e ai limiti del sopportabile. Naturalmente, ciascuno dei neo federalisti fiscali ha dato il suo appoggio nella speranza che i sacrifici e i tagli tocchino a qualcun altro.
Se funzionasse, il federalismo fiscale sarebbe una cosa eccellente: alla lunga e in prospettiva (molto alla lunga e molto in prospettiva), il meridione ne beneficerebbe forse anche più del nord, liberandosi di clientelismo e parassitismo, del peso condizionante della criminalità  organizzata sulla vita civile, sull'economia e sulla politica, avendo la possibilità  e imparando a camminare sulle sue gambe, ma nell'immediato per le regioni meridionali esso significa lacrime e sangue, sacrifici che nessuno vorrà  fare.
La situazione non è priva di rischi neppure per la Lega: se essa dovesse accontentarsi di un federalismo di facciata, c'è il rischio che essa venga scavalcata da movimenti che puntino con maggiore decisione sulla secessione; l'unica certezza al presente è che il malessere e la rabbia del nord non sono destinati a ridursi, ma a crescere sempre più. Non dobbiamo illuderci che l'unità  nazionale, il senso di appartenenza a una comune entità  chiamata Italia costituiscano ancora un collante, dopo che per sessant'anni la classe politica ha fatto il possibile e l'impossibile per minare il sentire comune, il senso di una comune identità  nazionale.
Assistiamo a una strana convergenza: Mentre Casini prima, Fini poi si spostano a sinistra in funzione anti-leghista, dall'altra parte sempre in funzione anti-Lega la sinistra, a cominciare da quel vecchio arnese comunista che occupa il Quirinale, si scopre un'inedita vena patriottica.
I centocinquant'anni dell'unità  italiana capitano a fagiolo per la messinscena di questo patriottismo fasullo, e c'è quasi da rallegrarsi che la nostra nazionale di calcio ai mondiali sudafricani abbia fatto schifo, altrimenti un'eventuale affermazione calcistica azzurra sarebbe stata probabilmente usata come pretesto per il medesimo scopo.
Allora occorre dirlo con chiarezza: i compagni non hanno alcun titolo nè politico nè tanto meno morale per parlare di patriottismo e di italianità , simili discorsi sulle loro bocche non possono essere che strumentali e falsi.
Non possiamo passare sotto silenzio o dimenticare la guerra civile nel quadro del secondo conflitto mondiale, quando mentre i ragazzi della RSI lottavano per salvare l'Italia o quel che ne rimaneva, i partigiani con la stella rossa praticavano la loro sporca guerriglia fatta di attentati e colpi alla schiena per asservire l'Italia a un dominatore straniero peggiore di quello che poi ci è toccato, non possiamo dimenticare la cortina di omertà  mafiosa stesa attorno alle tragedie delle foibe e dell'esodo e l'accusa pretestuosa di fascismo lanciata come una scomunica a chi solo osava commemorare quei morti trucidati per la sola colpa di essere italiani. Non possiamo dimenticare che quando noi sul confine orientale nei lunghi anni del dopoguerra abbiamo fatto il possibile per difendere l'italianità  delle nostre terre dalla pressione slavo-comunista, se non ci siamo mai sentiti l'Italia dietro le spalle, un'Italia che ci lasciava soli e civettava con l'amica repubblica federativa, questo avveniva grazie a loro.
Tutto questo è già  un'enormità , ma in un certo senso è ancora il meno. Si può affermare senza tema di smentita che sessant'anni di cultura catto-comunista hanno creato un danno enorme, sessant'anni nei quali gli intellettuali di regime (tanto più di regime quanto più si mostravano anticonformisti), le istituzioni, la scuola, i mass-media si sono ingegnati in tutti i modi a sminuire, ridicolizzare, vilipendere gli ideali nazionali e il senso di appartenenza degli Italiani a una nazione, sale gettato a piene mani sulle ferite ancora aperte di quindici secoli di assenza di unità  nazionale e del trauma conseguente al ribaltone del 1943 e alla guerra civile.
Ora costoro non hanno alcun diritto di innalzare il tricolore sulla loro infame barricata per difendere i loro tutt'altro che trasparenti e legittimi interessi di parte.
Dirò di più: ciò che costoro chiamano Italia in realtà  ha ben poco a che fare con ciò che normalmente s'intende per Italia, con ciò che la parola Italia ha significato negli ultimi due o tre millenni. Se qualcuno ha osservato l'irritante pubblicità  che sarebbe dovuta servire a invitare a fare il tifo per la nazionale di calcio negli scorsi mondiali, e semmai otteneva l'effetto contrario verso chi fosse dotato della sensibilità  giusta, se ne sarà  reso facilmente conto: Siamo arabi, greci (e via dicendo, un'altra mezza dozzina di nazionalità  sempre più lontane dalle nostre origini e dalla koinè europea). Il messaggio era chiaro: si voleva e si vuole che ci rassegniamo a trasformarci in una società  multietnica, perchè ciò è stato deciso La dove si vuole quel che si puote, e più non dimandare, là  dove vengono prese le decisioni sulla pelle dei popoli europei da quando questi ultimi, con la sconfitta nella seconda guerra mondiale, hanno perso il diritto di decidere il proprio destino.
L'immigrazione è, infatti, l'altro fattore che dobbiamo tenere presente per capire il destino che ci attende a scadenza non lunghissima. Chiariamo un concetto fondamentale: una nazione non è un territorio nè tanto meno quel concetto astratto esistente solo sul piano della finzione giuridica che si chiama cittadinanza, una nazione è  la sua gente; se essa cessa di essere, la nazione non esiste più, e i nuovi italiani, gli immigrati anche di seconda o terza generazione, italiani non lo saranno mai. Se un cavallo nasce in Canada è un'alce? Se un grizzly nasce in Cina è un panda?
Notiamo che la sinistra, una volta di più, agisce in maniera pienamente conforme agli interessi di quel capitalismo internazionale che, dopo aver appositamente impoverito allo stremo le economie del Terzo Mondo per costringere i suoi abitanti all'emigrazione, ora punta su di essa per trasformare anche l'Europa in una società  mercato multietnica sul modello degli Stati Uniti, per trasformare definitivamente l'Europa in null'altro che un'appendice, una periferia di questi ultimi.
La mutazione genetica che ha portato la sinistra a staccarsi sempre più dalle classi lavoratrici si è ormai consumata da molto tempo, semmai il dato notevole di questi ultimi anni, è il fatto che finalmente anche i lavoratori si sono accorti che la sinistra non li tutela più, ed hanno iniziato a negarle i loro voti.
Un operaio del tessile o del mobile che vede il suo posto di lavoro in pericolo perchè la sua azienda non riesce a resistere alla concorrenza dei cinesi che possono fare prezzi stracciati perchè sfruttano in maniera schiavistica i propri connazionali e che, se si rivolge ai sindacati di sinistra, si sente rispondere picche, perchè questi ultimi non intendono assumere atteggiamenti razzisti, non può che fare causa comune, oltre che con il proprio datore di lavoro, con i commercianti in regola col fisco che subiscono la concorrenza dei vu cumprà  le cui attività  sono sempre, istituzionalmente in nero, voltare le spalle alla sinistra e dare il suo voto alla Lega o comunque a movimenti politici di tutt'altro segno.
Poichè la classe operaia si trova dove ci sono le industrie, ossia soprattutto al nord, questo divorzio contribuisce alla meridionalizzazione della sinistra, i cui leader emergenti, non a caso, sono oggi Di Pietro, Vendola, Leoluca Orlando.
A un secolo e mezzo dalla sua formazione come stato unitario, la sopravvivenza dell'Italia non è mai stata in pericolo come ora, nemmeno all'indomani della disastrosa sconfitta nella seconda guerra mondiale. Quello che è in pericolo non è soltanto lo stato unitario, ma l'Italia come nazione, come popolo, perchè rischiamo di essere sommersi e soppiantati dalla marea umana che dal Terzo Mondo si scarica sulle nostre coste come un'onda nera di greggio. Sono questi i risultati di sessantacinque anni di governo di una partitocrazia parassitaria e asservita agli interessi stranieri, e noi oggi stiamo per raccogliere la messe avvelenata di questo malgoverno.

Mala tempora currunt.

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