Vogliamo giustizia!

Vogliamo giustizia!
Giustizia per i morti di Bologna

Ultimissime del giorno da ADNKRONOS

mercoledì 30 gennaio 2013

In attesa dei risultati elettorali del “nostro mondo”(?).

essereesempio

Credo di aver già scritto come gradisca poco intromettermi nelle vicende politiche, soprattutto in vista delle elezioni e di un ambiente (mio? nostro? Ormai distante e perduto?) che ha nessun senso del ‘pudore’ proponendosi con tre o quattro sigle alla destra della destra. Prevedo, senza scomodare il mio fantasioso antenato, che potremo utilizzare le varie percentuali di ciascuno quali prefissi telefonici. Non è, però, mia intenzione, nè qui nè altrove, sostituirmi agli uffici competenti di statistica o alle compagnie rivali delle telecomunicazioni. O, se volete, memore della canzone di Giorgio Gaber, mitico, ‘Al caffè Casablanca’ dove si beve si mangia il gelato e si parla di rivoluzione con i giornali di Lotta continua sotto o sopra i tavolini. Ovviamente senza più intrattenersi su rivolte bastoni e barricate che darebbe il legittimo, pur se auspicabile mi viene a volte la tentazione di pensare, sapore triste dell’amarcord, come intitolava Fellini un suo film e come si dice in dialetto di Romagna dove sono cresciuto.

Sabato pomeriggio sono stato al convegno, organizzato da una giovane comunità locale, su Codreanu e la Guardia di ferro in un agriturismo nei pressi di Fiuggi, di cui ho anticipato l’evento in precedente mio intervento. Fra l’altro erano presenti tre esponenti dell’Asociatia Noua Dreapta, uno dei quali rientrato in Italia dalla Spagna dove, ogni anno, si rinnova il ricordo della morte in combattimento di Ian Motza e Vasile Marin, volontari nella guerra civile, a Majadahonda, nei pressi di Madrid ai primi del 1937. Qui dal 1970 è stato eretto, con gli esclusivi fondi degli esuli, un monumento. Diversi gli interventi, tutti ad alto livello, tutti appassionati, rigorosi, tutti capaci di confermare quanto già aveva rilevato Maurice Bardéche essere, cioè, ‘la più originale e affascinante prova compiuta e più pura della grandezza morale a cui può condurre l’idea fascista’.

Hanno chiesto, i giovani organizzatori, che fossi io a concludere, magari per rispetto ai capelli bianchi più che per l’autorevolezza del sapere. E – modestamente, mai – non li ho delusi… Tutta questa premessa per riportare una affermazione del Capitano, risposta al magistrato che, malevolo e subdolo, gli chiedeva quali fossero i criteri per entrare nella Legione e accedere alle gerarchie e competenze funzionali: ‘E’ la quantità di sofferenza e di amore’. Ed ho voluto sottolineare il termine ‘amore’ perché ciò che colpisce, mi colpisce, è l’assoluta convinzione di Codreanu che non è sufficiente essere predisposti ad affrontare la ‘buona battaglia’, bisogna essere capaci di viverla, renderla azione. Attraverso i campi di lavoro, il commercio legionario, la doppia gerarchia e, va da sé, il sacrificio perché il sangue versato alla terra dei padri dà allo spirito la forza d’affermarsi…

Sappiamo quanto feroce fu la repressione operata ai danni del movimento legionario e quanta forza spirituale seppero dimostrare nella tormenta i suoi aderenti. Sappiamo anche quanto i Fascismi al potere faticarono ad intenderne il valore, diffidarono, preferirono il governo militare del generale Antonescu più che il successore di Codreanu, Horia Sima. Politica e iniziazione spirituale, la tensione mistica del radicalismo romeno apparivano collocarsi ben oltre a quanto, pur presente e significante, vi era nella religiosità del fenomeno fascista…

Sono gli anni ’70 che, nelle realtà giovanili della destra di partito e radicale, scoprono Codreanu e trasformano ‘Il Capo di Cuib’ in una lettura di formazione del militante. Davanti all’invadenza di un mondo giovanile votato alla sinistra, con i cortei di migliaia di partecipanti, con slogan e referenti di un marxismo nei suoi molteplici rivoli, nell’arroganza di uno spirito illuminista e giacobino che si arrogava, come cantava Francesco Guccini, di stare sempre dalla parte della ragione e mai del torto, con la ferocia la brutalità la sicumera d’essere in tanti, rivendicare la superiorità dell’ardua scelta ove tutto donare e donare anche se stessi. Quando Franco Anselmi bagna il proprio passamontagna con il sangue ancora caldo di Stefano Recchioni sull’asfalto, egli compie – consapevole o meno, ben poco importa – un gesto ‘legionario’. Di quei legionari che, dopo aver compiuto l’esecuzione di Calinescu, l’uomo dal ‘monocolo nero’, artefice dell’assassinio del Capitano e dei tanti camerati, si consegnano o danzano e cantano intorno al letto del traditore giustiziato in attesa d’essere arrestati e inviati nelle miniere di sale o direttamente strozzati nelle celle.

‘La quantità di sofferenza e di amore’, appunto…

Poi, poi… per molti, troppi, ‘il tradimento dei chierici’ al lavoro, inteso non come strumento ma finalizzato al guadagno, i miti consumistici macchina sportiva cellulare d’ultima generazione, abito firmato, ostriche e champagne. E la politica come carriera. Che ciò sia avvenuto anche ‘a sinistra’ perché dovrebbe scandalizzarci, lasciare l’amaro in bocca? Non pensammo – e così ci educarono i nostri maestri, ad esempio Julius Evola o Drieu la Rochelle – che americanismo e bolscevismo erano le facce d’un medesimo conio? E, proprio contro di loro, ritenemmo che il Fascismo ‘immenso e rosso’, la ‘guerra del sangue contro l’oro’ aveva combattuto una lotta mortale e noi, eredi di quell’avventura, con lui.

Oggi quei giovani di allora, molti, troppi di loro, sono fra coloro che selezionano o sono candidati alle prossime elezioni e alla ‘quantità di sofferenza e di amore’ hanno sostituito ruffianeria corruzione e denaro… mentre le ali dell’Arcangelo Michele, le sue piume sono state disperse e calpestate…

di Mario M. Merlino

Nessun commento:

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...