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sabato 15 dicembre 2012

Tutta l'Europa nera e ai piedi di Benito I

Benito I1

Il romanzo ucronico di Ramperti immagina un Duce vittorioso grazie all'atomica. Ma mollato da Claretta e con la nostalgia del violino.

Mario Bernardi Guardi,
Libero, 8 giugno 2012

Ventisette aprile 1945, Palazzo Venezia. Al Cardinale Referendario, ricevuto in udienza,  Mussolini domanda informazioni su Pio XII che ha abbandonato San Pietro per Castelgandolfo.

Tutto bene, è la risposta, Sua Santità chiede solamente la grazia di poter ospitare nella sua residenza un illustre scienziato, il professor Piccard, perché lo assista nei suoi tentativi d’esplorazione della stratosfera.

Il Duce non ha nulla in contrario. Se Pio XI faceva dell’alpinismo per approssimarsi alle celesti dimore, è giusto e sacrosanto che Pio XII abbia scelto l’aviazione per sentirsi ancor più vicino al cielo. Il Santo Padre tenga però presente che tutti attendono il suo ritorno in Vaticano ed anzi faccia presto, “perché sulle diecimila stanze vuote ha già messo l’occhio la Commissione degli Affitti”.

Seconda visita, in ordine protocollare, è quella del camerata Savoia ovvero Vittorio Emanuele II. Benché l’ex-sovrano sia stato consegnato dagli inglesi agli italiani vittoriosi, in osservanza della prima clausola dell’armistizio, il Duce non lo considera un prigioniero. E così non solo accoglie il Regale Cugino ma gli annuncia che ha deciso di affidargli il governo di una regione: quella Savoia che la Francia dovrà cedere all’Italia in forza del trattato di pace.  Come assistente, se vuole, potrà avere il figlio Umberto.

Duce, sospira l’ex-monarca, Umberto non è più con me. Se n’è andato ad Hollywood insieme a Maria José. Apriranno un istituto di bellezza.

E Badoglio? No, nessuna condanna a morte. Anzi, è “condannato a vivere”. Nella villa che il Duce gli ha regalato, col suo titolo nobiliare e con i milioni elargitigli dal Regime. Nessuno gli torcerà un capello. Basta ed avanza a punirlo la vergogna che si porta dentro. E deve essere davvero tanta visto che, qualche tempo dopo, il Maresciallo dell’8 settembre tenta il suicidio.

A questo punto, però, il lettore vorrà avere qualche spiegazione circa questo “strano” aprile 1945.

Bene, gli verranno dal fantapolitico “Benito I Imperatore” di Marco Ramperti, edito nel 1950 da Sciré e riproposto ora dal Cavallo Alato- Edizioni ai Ar ( introduzione di Anna K. Valerio, pp. 189, euro 18),

Diciamo subito che Marco Ramperti fa parte della schiera degli scrittori “dimenticati”. Noto negli anni tra le due guerre come romanziere, saggista, critico teatrale e cinematografico, nonché spirito libero per vocazione, col Fascismo “regime” ebbe rapporti conflittuali. Ma, dopo la “morte della Patria”, scelse la RSI. Rapporti “scomodi”, anche in questo caso. Scomodissimi, poi, a Liberazione avvenuta, con l’Italia democratica e antifascista. Il che significa che Ramperti fece la fame ma non si vendette ai vincitori. E, benché emarginato, continuò a scrivere.

“Benito I imperatore” è davvero una bella incursione nell’immaginario a partire dalla scena iniziale: “ E’ l’alba del 25 aprile 1945 e Benito Mussolini, avendo l’Asse vinto la guerra per impiego tempestivo della bomba atomica, cavalca per la via Appia alla volta di Roma”.

Ecco: Marco Ramperti è partito da un’ipotesi (che cosa sarebbe accaduto se…), l’ha fatta trionfare e adesso la sviluppa. Il Duce ha vinto, imponendo una sorta di “pace armata”: vediamo un po’ cosa fa in un’Italia che lo acclama e in un’Europa che è fascista o comunque è sottomessa al fascismo, mentre l’Unione Sovietica non esiste più e sono al potere i Russi Bianchi e mentre gli Stati Uniti, dove sempre più comandano le donne, anzi le belle donne, si accingono a mandare ambasciatrice a Roma la fascinosa e sensuale Rita Hayworth.

Che cosa fa quel Duce del Fascismo, che tra poco sarà incoronato Imperatore? Si comporta in maniera magnanima. Nemmeno una condanna a morte. Nemmeno per chi ha più vistosamente tradito. Se mai, punizioni “ad hoc”, come quella inflitta al Maresciallo Badoglio. O a Giuseppe Bottai, una delle ‘anime’ del 25 luglio, poi arruolatosi nella Legione Straniera: bene, ci resti come  piantone a vita, impiegato a spazzare le camerate e a pulire i cessi.

  Intanto tutti gli intellettuali hanno ripreso a corteggiare Benito in maniera indecente  e Ramperti li fa sfilare uno dopo l’altro alla corte del Padrone, ognuno col suo stile di “servo”.  Ci sono tutti: Paolo Monelli e Sibilla Aleramo, Leo Longanesi e Alessandro Blasetti, Mario Missiroli e Sem Benelli, Mario Alicata e Pietro Ingrao, Indro Montanelli e Massimo Bontempelli… E Kurt-Suckert Malaparte? No, si è trasferito nella Germania originaria ed ora veste una divisa di ufficiale tedesco.

E Giuseppe Ungaretti? Bè, Ungaretti dopo l’8 settembre ha fatto veramente schifo, inveendo contro quel Mussolini che- così dichiarava- per lui veniva dopo Dio ed allora, mentre gli viene confermata la pensione a vita, una piccola punizione gli tocca: d’ora in avanti scriverà le sue liriche sulla carta igienica.

E cosa accadrà ad antifascisti di professione come Parri e Pertini? Niente di grave: saranno condannati ad accompagnare a vita il poeta cieco Carlo Borsani alle sedute del Gran Consiglio.

Insomma, mescolando generosità ad ironia e disprezzo, il Duce sta facendo giustizia. Ma non è contento, ha il cuore oppresso da un senso di stanchezza e di pena. Ma gli vogliono davvero bene gli Italiani? Oppure la gloria si conquista solo, cristianamente, attraverso il sacrificio? Non sarebbe stato più bello morire in battaglia? A che vale tutto quel che ha conquistato se non si sente libero e in pace con se stesso? Né Claretta può confortarlo: erano vicini e innamorati nell’ora del rischio: adesso qualcosa si è spezzato, non ci sono più né confidenza né passione.

Il Duce è solo. “Comunica” solo con un tipo strambo, uno stravagante “filosofo da strada” con cui si interroga sul senso della vita. Già: ha senso la corona imperiale? O ne ha più riprendere in mano il vecchio violino ed andarsene, finalmente libero dagli italiani, per le strade del mondo?

  MARIO BERNARDI GUARDI

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Autore: Marco Ramperti
Titolo: Benito I imperatore.
Edizioni di Ar
Prezzo:
18,00€

Va letto questo libro di Marco Ramperti, meravigliosa figura di scrittore e uomo libero, morto in povertà per non essere il servo di nessuno: nessun editore-mercante, direttore di giornale a sua volta diretto, committente e padrone che non fosse anche Signore. Va letto perché ci fa capire in che mondo viviamo. Di che razza sono fatti gli apologeti dell’oggi. Perché sui giornali che ardono di pathos civile scopriamo ogni giorno quei giuggiolosi editoriali — e sui libri tante righe piene di artefatta bonomia, e sui testi scolastici.

Montagne di zucchero, di melassa, di falsa modestia. E se invece, a Roma, comandasse Benito I imperatore? Se l’aborrito Duce del fascismo, grazie a un’atomica sganciata un giorno prima degli americani, avesse vinto la guerra? Li leggeremmo lo stesso quei giuggiolosi editoriali? Le ascolteremmo lo stesso quelle lezioni di vita e pace e bene da parte dei paladini dell’uguaglianza e della democrazia? Ve li immaginate i maître e le maîtresse à penser di oggi rischiare la vita per contraddire Benito I imperatore? Figuriamoci. Ma non ci penserebbero nemmeno.

Fondamentale questo romanzo per mantenersi appesi a quel filo, quel filino di decenza, evitando che l’immane ipocrisia globale ci travolga, inglobi, contamini del tutto.

info@libreriaar.com

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